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Unità-I nostri ragazzi, sempre più soli e inascoltati

I nostri ragazzi, sempre più soli e inascoltati Luigi Galella Ci sono i buchi, anche a scuola. Le ore senza l'insegnante. Le falle. Con i ragazzi che debordano festosi, straripano, si...

16/01/2006
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l'Unità

I nostri ragazzi, sempre più soli e inascoltati

Luigi Galella

Ci sono i buchi, anche a scuola. Le ore senza l'insegnante. Le falle. Con i ragazzi che debordano festosi, straripano, si disperdono per i corridoi. Come topolini che abbandonano la stiva minacciata dall'acqua, e salgono sul ponte della nave, che lentamente sta affondando. Un movimento vitale e disperato. Una fuga in avanti che s'interrompe con l'intervento del professore, che tura la falla. Di nuovo tutti dentro. Di malavoglia. Immusoniti per l'arrivo del sostituto, quando già pregustavano l'idea di poter godere di un momento di occasionale libertà.
Anche a me capita di supplire colleghi assenti, e di incontrare ragazzi di altre classi, perlopiù distratti o indifferenti verso chi li intratterrà per un'ora, e che forse per il resto dell'anno non vedranno mai più. Non sono i momenti migliori della giornata. La provvisorietà dell'incontro ci rende reciprocamente diffidenti. Destituito di un'autentica autorità, nel momento in cui entro sembra che neanche si rendano conto della mia presenza. Mi trovo costretto ad alzare la voce, a invitarli al posto, a far chiamare quelli che ancora stazionano fuori. Faccio l'appello per prendere tempo, per ripristinare formalmente le distanze, convinto che il richiamo alle regole sia sufficiente a tenerli buoni per un po', ma non è sempre così. L'assenza del professore titolare li rende liberi e indomabili, a volte perfino arroganti. Pochi giorni fa sono entrato in una terza mai vista prima d'allora. La bidella al piano mi ha rivolto un pietoso sguardo di commiserazione e mi ha sorriso sbattendo gli occhi, in una maniera che mi è parsa drammaticamente eloquente, nel chiudere alle mie spalle la porta dell'aula. I ragazzi, come potevo vedere, si intrattenevano in varie dilettevoli occupazioni. "Sedetevi", ho esordito, con cauta baldanza, quasi incredulo di verificare che eseguivano subito l'ordine. Così, rincuorato, ho pensato di strafare, avanzando l'impegnativo proposito di svolgere una regolare ora di lezione. Uno, col cappello in testa, ha sollevato lo sguardo, scettico, e ha mormorato qualcosa di incomprensibile. Mi sono avvicinato: "Il cappello!" Lui si è alzato di scatto, alto, ben piantato, si è tolto il berretto scaraventandolo sul banco e ha indossato una bandana per tener legati i capelli, lunghi sulle spalle. E facendolo mi ha chiesto provocatoriamente che razza di regola era quella di non poter tenere il cappello in testa. Con tono aggressivo, ostile. Quindi ha voluto serenamente avvertirmi: "Qui neanche i nostri professori riescono a fare lezione, figuriamoci durante le ore di buco". Non era il contenuto delle parole che colpiva, quanto la rabbia spropositata che esprimeva. Come se dovesse regolare i conti con l'esistenza. La scuola, la società, la famiglia. Salvava solo quattro persone - presumo amici - di cui non ha voluto rivelarmi l'identità. Fosse stato per lui sarebbe vissuto, solo, sulla terra, con questi quattro e nessun altro. Era un po' che non mi capitava di incontrare tipi del genere, "senza tetto né legge", che di fronte a un ordine che ritengono sciocco se la prendono con l'Ordine costituito. Man mano che il discorso proseguiva sentivo che la mia irritazione si stemperava, e che si trasformava in una curiosa "simpatia" per quel ragazzo rancoroso e solo. Forse per una forma di identificazione con un "me" adolescente, forse perché mi rendevo conto che di fronte a una contestazione così radicale l'argomento della buona regola da rispettare diventava quasi grottesco. L'ora è trascorsa così, parlando. Di lui, delle sue insofferenze, della sua "anarchia". Dei genitori e della scuola, che non potevano ormai proibirgli nulla. Né avevano il desiderio e la pazienza di ascoltarlo. Non so chi abbia fatto la lezione all'altro. Ma ho capito che era successo qualcosa di importante, almeno per me, quando a un certo punto, interrompendoci - nel frattempo ci eravamo come distratti e dimenticati degli altri - un ragazzo mi è venuto a fianco e mi ha chiesto se potevo parlare un po' anche con lui. Con atteggiamento mite, discreto. Ma con altrettanto, urgente bisogno di raccontarsi.
luigalel@tin.it


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