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Unità: «Hanno distrutto il Cnr, gli scienziati sono finiti nell’angolo»

GIORGIO PARISI L’allarme dello scienziato: la destra ha paralizzato il centro nazionale ricerche con nomine dall’alto e burocrazia. Mussi prova a cambiare, ma non basta

27/11/2006
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l'Unità

di Cristiana Pulcinelli / Roma

La ricerca italiana vive un momento difficile. Non si tratta solo dei tagli previsti dalla finanziaria, che pure hanno sollevato un coro di proteste. I problemi sono molti. Alcuni hanno radici antiche, altri invece nascono negli ultimi anni. Gli scienziati chiedono ai politici di affrontarli, ascoltando le loro ragioni, come farà il presidente Napolitano proprio oggi.
Giorgio Parisi insegna fisica teorica all’università La Sapienza di Roma ed è uno degli scienziati italiani più autorevoli. Rivela quelli che affliggono il più grande ente di ricerca italiano: il Cnr, Consiglio Nazionale delle Ricerche.
Professor Parisi, di cosa soffre il Cnr?
«Di molti mali. Il primo riguarda la rappresentanza. L’attuale presidente, Fabio Pistella, è stato molto contestato dalla comunità scientifica. In primo luogo per il modo in cui è arrivato a ricoprire quella carica. Al momento della nomina, Pistella aveva presentato un curriculum in cui dichiarava di avere oltre 150 pubblicazioni scientifiche, ma alla verifica dei fatti ne sono risultate solo una quindicina. Qualcuno dice che il governo Berlusconi, che lo ha nominato, potrebbe aver ritenuto che per quella carica non servisse tanto uno scienziato, quanto una persona con capacità gestionali. Io non sono d’accordo perché credo che il presidente di un ente di ricerca debba rappresentare la comunità scientifica. Ma, in ogni caso, qui si tratta di un curriculum falso. L’avesse fatto un ricercatore in cerca di un posto, sarebbe stato accusato di falso ideologico».
Alla prova dei fatti come è andata?
«Male. Abbiamo assistito a un accentramento dei poteri e a una forte burocratizzazione dell’ente».
Solo colpa del presidente?
«Anche della riforma Moratti. La riforma prevedeva che tutte le nomine e controllo venissero dall’alto. Impoverendo il ruolo degli scienziati. I direttori dei dipartimenti sono scienziati scelti mediante un concorso e poi dal Cda, tuttavia possono essere licenziati in tronco: il regolamento dice che i direttori possono dare le dimissioni quando vogliono, ma in compenso possono essere mandati via da un giorno all’altro anche se sono stati nominati per 4 anni. Come si può convincere qualcuno a lasciare un posto, magari all’estero, per venire a dirigere un dipartimento a queste condizioni?».
La riforma doveva snellire l’apparato burocratico del Cnr, che cosa è successo?
«Il contrario, la burocratizzazione è aumentata. Faccio un esempio: ogni istituto del Cnr prima aveva un budget, ora l’istituto è diviso in 4-5 commesse, ognuna con il suo budget. All’inizio dell’anno bisogna decidere come dividere le spese e lo spostamento di fondi non è possibile. Cosicché se avanzano dei soldi a una commessa non posso trasferirli là dove mancano. La gestione è complicatissima».
Perché creare le commesse?
«Perché i 400 responsabili di commessa hanno meno potere per opporsi alla presidenza rispetto ai 110 vecchi direttori di istituto. Che potevano firmare un contratto con la commissione europea per ottenere finanziamenti. Da un certo momento in poi non è stato più così: a firmare poteva essere solo il presidente. E molti contratti sono stati persi perché la firma non è arrivata in tempo».
Che si può fare?
«Ridare peso al consiglio scientifico. Preparare un nuovo statuto del Cnr in cui si preveda che il presidente venga scelto col consenso della comunità scientifica. Procedura, del resto, già avviata dal ministro Mussi secondo cui un comitato di ricerca composto da 5 scienziati fa una rosa di 3 nomi tra cui scegliere il presidente».


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