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Unità-Chi insegna si racconta

"Il supermercato della conoscenza certe volte fa miracoli" Carlo Pigato Inerzialmente resistente, la scuola è rimasta in buona parte sempre la stessa: un'aula, per lo più disadorna, un ...

08/12/2005
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l'Unità

"Il supermercato della conoscenza
certe volte fa miracoli"

Carlo Pigato

Inerzialmente resistente, la scuola è rimasta in buona parte sempre la stessa: un'aula, per lo più disadorna, un docente, un gruppo di allievi: chissà fino a quando durerà ancora?
Ha continuato, in molti casi, a essere fondata sulla parola, sul rapporto sociale di un uomo con altri esseri umani e non invece su quello, derivato dalla macchina didattica, tra un tecnocrate e androidi modellati all'apprendimento. E così l'eterno miracolo di questa invenzione del mammifero, che ha fatto della conoscenza la sua arma (sino ad allora vincente, ma fino a quando?) nella struggle for survival, continua a riproporsi ogni giorno, almeno per circa 200 giorni all'anno. (&)
Fortunatamente, però, ogni giorno ricevo e-mail da decine di ex-allievi, con molti dei quali mi incontro anche periodicamente per una "pizza di classe", in occasione di un matrimonio, di una tesi di laurea, di un consiglio, persino sistematicamente per studiare insieme o anche solo, spessissimo, per dirci ancora qualcosa. Tutti dimostrano gioia ogni volta che ci incontriamo, le parole scorrono semplici e immediate, come se ci fossimo lasciati ieri mattina.
Ciò significa che valeva la pena fare l'insegnante.

Contro la De Filippi
non c'è partita"

Geremia Sconcerti

La scuola non è forte quanto i nuovi media. La scuola, del resto, non è mai stata forte. Lo era, ma è più corretto dire: appariva forte, quando non doveva combattere con nessuno, quando non aveva avversari, quando gli insegnanti, i "professori", erano autorevoli in quanto tali, a prescindere. Ora l'autorevolezza è un traguardo difficilmente raggiungibile perché si parte da una posizione di svantaggio. Anche il migliore degli insegnanti di lettere, di filosofia o altro nulla può contro Maria De Filippi. E il discorso, è doloroso dirlo, vale anche per la famiglia. I genitori, anche i migliori, durano fatica a confrontarsi con i modelli altri.
La scuola doveva, avrebbe dovuto già da tempo, fungere da argine contro il dilagare della cultura altra, non certo per demonizzarla, ma almeno con l'obiettivo di non farsi fagocitare o soppiantare da essa. Ma per far questo bisognava aver cura della scuola, preparare nel momento del passaggio dall'istruzione elitaria a quella di massa insegnanti capaci, numerosi e, importantissimo, ben pagati. In altre parole, motivati. Colti. Bisognava fare della scuola il luogo della cultura. E cultura, è stato detto bene, è aprirsi al mondo, aprire al mondo i giovani.

Si alzò e venne alla cattedra. Poi disse:
"Prof, lei deve scopare di più""

Dunque ce l'avevo fatta: quei ragazzi avevano capito finalmente la mia funzione e quale danno facevano a me e a se stessi trascurando le mie lezioni. Mentre iniziavo a cullare questa conquista, dall'ultimo banco senza dire una parola si alzò un giovanotto. Occhiali scuri, una bandana in testa e curiosi stivali da cow boy. Nel silenzio della classe iniziò con calma a muoversi verso la cattedra, mentre nell'aria lo scalpiccio dei suoi tacchi dava alla scena una venatura all'O.K. Corral. Una musica a scelta di Morricone mi ronzava nella testa fino a che il mio allievo fu a pochi centimetri da me. Allora, calmo, senza una sola nota di aggressività, direi persino un po' dispiaciuto per la mia miserevole condizione, si limitò a suggerirmi: "Prof, lei deve scopare di più". Dopodiché, girò su se stesso e tornò a posto. Nessuno rise per quel consiglio, a dimostrazione che era una convinzione abbastanza diffusa e che, in fondo, mi volevano bene.
Antonio Ferrero

"Ma a cosa serve la filologia se poi ti
rispondono "un ci scassari a minchia""?

Ignazio Sauro

È l'anno 1997. Ricevo un incarico di supplenza di due settimane presso una scuola media di un quartiere popolare di Palermo. E il mio primo incarico in una scuola pubblica dopo un anno passato ad insegnare in un istituto privato (&) In quei giorni la domanda predominante che mi facevo era questa: ma a che cosa mi sono serviti anni passati su saggi di critica letteraria, su volumi di filologia e di chissà che altro? A che cosa tutto quell'impegno, quella fatica, se tutto quello che qui serve io non lo conosco, nessuno me lo ha insegnato; quello che so, mi dicevo, può andar bene se fossi finito in un liceo di un quartiere "bene" della città, dove se parli di Leopardi, o della polis, nessuno ti dice: "professo', un ci scassari a minchia".

Queste quattro testimonianze di insegnanti sono tratte dal libro
"La mia scuola . Chi insegna si racconta"
(editrice Einaudi di D. Chiesa e C. Trucco Zagrebelsky


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