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Una generazione da rottamare Si vota per questo

Sono una "prof" per gli studenti e quasi una studentessa per i professori

30/11/2010
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Francesca Ruocco


Sono una "prof" per gli studenti e quasi una studentessa per i professori. E' anche questa la sorte che, a più di trent'anni, mi accomuna agli altri precari dell'università. Certo, forse dovrei consolarmi del fatto che molti di anni ne hanno più di quaranta. O, forse, questo dovrebbe convincermi definitivamente ad imboccare un'altra strada che non sia l'università, almeno quella italiana. Io sono una collaboratrice alla didattica, non una tutor né una borsista o una contrattista a titolo gratuito. Sono una delle figure del precariato universitario in cui si transita in attesa che arrivi un concorso da ricercatore a tempo indeterminato. Il disegno di legge Gelmini aggiunge altri due livelli di precariato: il ricercatore a tempo determinato «di tipo A» che dura tre anni ed è rinnovabile altri due, per un totale di cinque anni, ed il ricercatore a tempo determinato «di tipo B», riservato a chi è già passato per il primo e con una durata di altri tre anni. Una «trentenne tipo» come me con alle spalle tre anni di dottorato di ricerca ed un anno di collaborazioni alla didattica, bene che gli vada ha di fronte almeno altri sei/otto anni di precariato che possono facilmente trasformarsi in dieci passando tra un assegno e una docenza. Alla soglia dei quarant'anni, ci sarà qualcuno che tranquillamente dirà: «Meriteresti, davvero, ma purtroppo...».
Se questa è la prospettiva che abbiamo di fronte noi «giovani», per tutti coloro che già da diversi anni svolgono precariamente l'attività di ricerca e di didattica nell'università è anche peggio. Il Ddl non prevede alcun riconoscimento del lavoro svolto, e non si può certo chiedere a chi è già da sette, otto o dieci anni precario di intraprendere il lungo percorso del ricercatore a tempo determinato. Ma è proprio quello che la Camera farà approvando oggi questa legge. Tutti coloro che spingeranno quel bottone metteranno la firma sulla «rottamazione» di almeno un paio di generazioni di ricercatori universitari, cancellando le prospettive di ragazze e ragazzi privi di solide sicurezze economiche o di «protettori» sufficientemente potenti alle spalle.
Ottocento milioni non bastano per dire che l'università è stata salvata. E' il gioco perverso a cui sta giocando il ministro Gelmini, nascondendo il fatto che quest'anno alle università sono stati comunque tagliati 276 milioni di euro e l'anno prossimo saranno il doppio. L'altro gioco è quello dei 4500 professori associati da assumere nei prossimi tre anni, la mancia con la quale Futuro e Libertà pensa di comprare i ricercatori che si sono dichiarati indisponibili a ricoprire la didattica non obbligatoria. Nessuno dice che noi «prof» per gli studenti, e quasi studenti per i professori, non entreremo mai in questa finta ope legis. Il presidente della Camera non sa, o finge di ignorare, che da questa elemosina resteranno fuori circa 60 mila precari e oltre 20 mila ricercatori, messi su un binario morto in attesa della pensione.
Chi premerà quel bottone oggi salverà per un istante questo governo, ma non voterà per la riforma dell'università di cui abbiamo bisogno. Non voterà per la definizione di un unico contratto pre-ruolo che cancelli tutte le attuali figure precarie, prevedendo i diritti oggi negati e il reclutamento dei meritevoli. E non voterà per noi precari, che siamo la ricchezza che permette agli «atenei virtuosi» di contenere i costi del personale e di incrementare la qualità della didattica e della ricerca e a quelli che non lo sono di «restare a galla».
* Rete dei ricercatori precari Bologna
 
 


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