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Stop a nuove graduatorie e via ai concorsi. Ecco come

di Max Bruschi* *Consigliere del Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca

25/10/2011
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ItaliaOggi
Il nuovo sistema di reclutamento dovrà valutare preparazione disciplinare e competenze all'insegnamento
 

Ogni perfezione di struttura è vana se _ i professori sono scelti con metodi non buoni». Lo scrisse Luigi Einaudi negli anni Venti. Difficile non concordare. La qualità del personale scolastico è, da sempre, la leva necessaria al miglioramento degli apprendimenti.

Che il metodo di scelta dei docenti italiani sia non buono, sia il lettore a giudicarlo. Nel 1999/2000 si tenne l'ultimo concorso e per l'ultima volta fu data una opportunità a giovani e meno giovani di mettersi in gioco alla pari. Da quel giorno, in attesa di una qualche palingenetica riforma, i docenti sono stati immessi in ruolo attraverso due graduatorie, chiamate salomonicamente a spartirsi i posti. La prima formata da chi, nel concorso del 1999 o, per alcune discipline, in quello del 1990, aveva raggiunto anche solo la sufficienza. La seconda (le famose o famigerate «graduatorie permanenti», oggi «ad esaurimento» - GAE) formata anche dal personale reso variamente idoneo dal Parlamento, dagli abilitati attraverso le Scuole di specializzazione per l'insegnamento, il corso di laurea in Scienze della formazione primaria e i bienni accademici riservati ai docenti di materie artistiche e musicali. Quest'ultima graduatoria è stata chiusa nel 2008, in attesa che il governo rivedesse, tramite decreto, la formazione iniziale e il reclutamento dei docenti. Mentre la prima delega ha fruttato il decreto 249 del 2010 sulla Formazione iniziale, la seconda, ancora aperta, rappresenta una strada possibile per dare risposta all'ammonimento di Einaudi in attesa delle decisioni eventuali del Parlamento.

Personalmente, mi sono fatto alcune idee, variamente confrontate in questi anni, che ritengo possano essere utili al dibattito. Innanzitutto, occorre muoversi nell'ambito della normativa vigente, che assegna il 50% dei posti «vacanti e disponibili» alle GAE. È questo un meccanismo criticabilissimo, ma intoccabile, pena la violazione dei diritti acquisiti e delle legittime aspettative di chi in quel percorso, volente o nolente, è entrato. Inoltre, il canale concorsuale dovrebbe essere aperto a tutti coloro i quali vantano i titoli di accesso: sia chi è nelle GAE, sia chi si è abilitato dopo la loro chiusura, sia chi si abiliterà con il nuovo sistema. Ciò consentirebbe di ottenere due risultati: dare uno sbocco immediato alla nuova formazione iniziale docenti e creare una «corsia di sorpasso» destinata a tutti quei docenti inseriti nelle GAE, che la procedura attuale condanna, a prescindere dal merito e senza scampo, a lustri di supplenze e di raccolta punti. Sul come procedere, mi sento di gettare sul piatto alcune ipotesi. Primo, occorre evitare la costruzione di nuove graduatorie: a bando dovrebbero essere messi il 50% dei posti disponibili per le assunzioni (il resto è patrimonio delle GAE) e, sul modello francese, dovrebbe essere garantita una cadenza fissa delle tornate concorsuali. Secondo, le prove dovrebbero essere strutturate in maniera rigorosa e moderna, in modo da valutare tanto la preparazione disciplinare quanto le competenze necessarie all'insegnamento. Terzo, la scuola dell'autonomia richiede forme di incontro tra le caratteristiche professionali dei docenti e le caratteristiche che le istituzioni scolastiche hanno costruito nel tempo. Quarto, l'anno di prova dovrebbe diventare qualcosa di diverso rispetto a un mero adempimento burocratico, stabilendo che debba essere svolto nella sede di futura «titolarità», che la commissione chiamata a valutarlo sia rafforzata come competenza e autorevolezza e possa poggiare il proprio giudizio su indicatori chiari e condivisi.

Un mix equilibrato tra normativa, oggettività concorsuale e partecipazione delle scuole al processo di selezione potrebbe fornire, in tempi brevi, una risposta alle esigenze del sistema istruzione.

 


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