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Se la laurea diventa invisibile titolo di studio

di Bebbe Severgnini

04/02/2016
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Corriere della sera


                Se tre indizi non costituiscono una prova, tre notizie non sono una dimostrazione: ma fanno una certa impressione.
   Prima notizia. I corsi di medicina dell’università romena Dunarea de Jos di Galati, che si svolgono a Enna, promossi dal Fondo Proserpina (di cui è amministratore l’ex-senatore Pd Vladimiro Crisafulli), sono legali: un giudice civile ha rigettato il ricorso presentato dall’Avvocatura distrettuale dello Stato.
   Seconda notizia. La facoltà di Scienze delle Comunicazione dell’università di Catania ha perso l’81% degli iscritti in dieci anni: da 1.203 a 226. Secondo la classifica del Sole24Ore l’ateneo siciliano è il meno attraente d’Italia: solo 0,3% degli studenti viene da fuori Regione.
   Terza notizia. Il Tar del Lazio ha accolto il ricorso di circa 9.000 studenti che, non avendo superato il test d’ingresso alla facoltà di Medicina nel 2014, hanno scelto le vie legali per ottenere l’iscrizione. Secondo Jacopo Dionisio, coordinatore nazionale dell’Unione degli Universitari (Udu), «sono sentenze storiche che segnano un passo avanti decisivo nella battaglia contro questo sistema di accesso (…). È ormai evidente che il numero chiuso non funzioni».
   Tre vicende diverse, con un comun denominatore: l’università italiana si sta spaccando, come quella americana. Da una parte gli atenei che contano, e piazzano il proprio nome come un marchio. Dall’altra quelli che arrancano, contando sul valore legale di un titolo di studio che vale sempre meno.
   Di qui gli studenti brillanti, che ci consentono di fare bella figura in Europa (dopo il tirocinio Erasmus+, il 51% dei ragazzi italiani riceve un’offerta di lavoro, la media europea è del 30%). Di là quelli che si trascinano tra frustrazioni, formalismi e ricorsi.
   La sensazione è che, nei curriculum, il paragrafo destinato all’istruzione universitaria stia diventando, a poco a poco, invisibile. Aspetto conferme o smentite dagli uffici del personale, ma la tendenza è capire com’è fatto un ragazzo: quello che sa è funzionale a quello che potrebbe fare. Mi è capitato, in questi giorni, di leggere curriculum e condurre colloqui per allargare una redazione televisiva. Mi sono reso conto che il titolo di studio era come la data di nascita. Ovvio che ci fosse, ma non mi aiutava a capire.

 


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