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ScuolaOggi:Il Ricorso al TAR contro il Piano Programmatico

di Osvaldo Roman

03/02/2009
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ScuolaOggi

Il Coordinamento Genitori Democratici (CGD) il Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti, (C.I.D.I.), il 126° Circolo didattico di Roma, assistiti dall’avv. Riccardo Marone hanno presentato nei giorni scorsi un ricorso al TAR del Lazio per richiedere l’annullamento del Piano Programmatico per la razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse umane e strumentali del sistema scolastico, di cui all’art. 64, comma 3, D.L. n. 112/08 (convertito con modificazioni in legge 6.8.2008 n. 133) e l’annullamento di ogni atto preordinato, connesso e conseguente al medesimo Piano. Cioé nell’ipotesi dell’ annullamento del Piano risulterebbero annullati anche i Regolamenti che ne dovrebbero, a quanto sostiene il comma 4 del medesimo articolo 64, fornire una ”puntuale attuazione”.

In Ricorso pone in via incidentale e in subordine all’annullamento del Piano varie questioni di legittimità costituzionale dell’art. 64 della legge 133/08, che il Tar del Lazio, in alternativa o congiuntamente all’annullamento del Piano, potrebbe trasmettere alla Corte Costituzionale.

Il ricorso ricorda che con decreto legge in data 25 giugno 2008 n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008 n. 133, sono state approvate misure urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione finanziaria e la perequazione tributaria.

L’art. 64 del predetto D.L. 112/08, recante disposizioni in materia di organizzazione scolastica, ha previsto, più in particolare, che “ai fini di una migliore qualificazione dei servizi scolastici e di una piena valorizzazione professionale del personale docente, a decorrere dall’anno scolastico 2009/2010, sono adottati interventi e misure volti ad incrementare, gradualmente, di un punto il rapporto alunni/docente, da realizzare comunque entro l’anno scolastico 2011/2012, per un accostamento di tale rapporto ai relativi standard europei tenendo anche conto delle necessità relative agli alunni diversamente abili”.

Il legislatore ha, poi, demandato al Ministro dell’Istruzione il compito di attuare il programma appena illustrato, mediante l’approvazione di un “Piano programmatico di interventi volti ad una maggiore razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse umane e strumentali disponibili, che conferiscano una maggiore efficacia ed efficienza al sistema scolastico” (art. 64, comma 3, D.L. n. 112/08).Al comma 4, infine, l’art. 64 cit. ha demandato ad una serie di regolamenti, da attuarsi ai sensi dell’art. 17 della L. n. 400/88, anche in deroga alle disposizioni legislative vigenti, la “puntuale attuazione” del predetto Piano programmatico.

Il suddetto piano predisposto dal Ministro Gelmini d’intesa con il Ministro Tremonti è stato inviato per i pareri previsti dalla legge alla Conferenza unificata e alle competenti commissioni parlamentari della Camera e del Senato. Vale la pena di sottolineare che la legge in questione non prevede che gli schemi dei Regolamenti vengano analogamente sottoposti al parere del Parlamento. Anche per questo motivo il Piano assume un particolare rilievo. I pareri suddetti, che non è il caso di analizzare in questa ,sede furono molto critici e in particolare quelli espressi con il voto della maggioranza parlamentare alla Camera e al Senato condizionavano la loro valenza favorevole all’accoglimento di numerosi rilievi.

Ricevuti i pareri il governo non ha neppure ringraziato i suoi interlocutori istituzionali non ha comunicato loro quale apprezzamento aveva riservato ai loro pareri ha semplicemente fatto sparire dalla circolazione il Piano programmatico.

Vero è che nel frattempo il Parlamento aveva convertito in legge(n° 189 del 4 dicembre 2008) il Decreto legge 154/08 che all’art.3 originariamente prevedeva di avviare la razionalizzazione della rete scolastica decorrere dall’anno scolastico 20’09-20010. E poneva alle regioni un dictat da queste ritenuto inaccettabile: provvedere alla quasi immediata definizione dei piani regionali pena il commissariamento.

Nella conversione in legge cadde il dictat e i tempi per la razionalizzazione slittarono di un anno. Tale decisione comportava una modifica del Piano perché gli effetti della chiusura di 700 scuole in termini di una analoga riduzione dei posti di Dirigente scolastico e di DSGA furono spostati all’anno scolastico 20010-11. Analogo spostamento, per altri motivi subì l’avvio della riforma del secondo ciclo dell’istruzione superiore.

Il Ministro Gelmini con l’intesa di Tremonti avrebbe potuto recepire tali modifiche nel Piano e comunicarle ufficialmente se non altro alle istituzioni che avevano fornito un parere e che erano in attesa di sapere che fine avesse fatto il Piano. Nulla di tutto ciò è avvenuto. Il 18 dicembre 2008 il Consiglio dei ministri ha approvato due schemi di regolamento che nelle premesse si riferiscono al Piano programmatico. Nel caso dello Schema sul primo ciclo si precisa che il Piano è quello del 4 settembre 2008 data di inoltro alla Conferenza Unificata. Nel secondo Schema tale precisazione non compare anche perché essa avrebbe dovuto figurare accanto alla presa d’atto dell’entrata in vigore della legge n 189 del 4 dicembre 2008 di conversione del DL.154/08.

Di fatto in ogni caso, a meno che non si vogliano pregiudicare quelle deliberazioni del Consiglio dei ministri si deve considerare quella data come la data in cui il Piano originario è stato modificato di fatto anche se ciò non è stato reso noto e ufficialmente pubblicizzato.

Con l’invio degli Schemi di regolamento alla Conferenza Unificata . al CNPI e al Consiglio di Stato permane lo stato di latitanza del Piano programmatico. La circostanza é veramente inverosimile anche perché le relazioni tecnico-finanziarie che accompagnano tali Schemi espongono soluzioni assai differenti da quelle presenti nell’originario Piano programmatico. Si è detto per quanto concerne la razionalizzazione e per la scuola secondaria si aggiunga, senza entrare in questa sede nel merito di un’analisi tecnica, che anche il maestro unico generalizzato per tutte le classi della scuola primaria e la stessa eliminazione dell’istituto delle compresenze, prima non previsti dal Piano, prendono corpo in quella occasione con i loro effetti di ulteriore riduzione dell’organico della scuola primaria. Infatti rimanendo ferme le cifre complessive delle riduzioni previste dalla legge con l’aumento di un punto nel rapporto docenti studenti pari a 87.000 unità e con la riduzione altrove praticata di 47 mila unita del personale ATA, se si rinviano o si riducono alcuni tagli altri devono essere aumentati almeno nell’anno scolastico 2009-2010. Ecco dunque una importante ragione che spiega ma non giustifica la sparizione del Piano. Attendiamo con curiosità le valutazioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti sull’argomento. Ma per il momento, tornando alle motivazioni del Ricorso al TAR interessa segnalare che la sparizione dal tavolo dei Pareri del Piano programmatico potrà soprattutto riguardare i successivi ricorsi contro i medesimi Regolamenti che ai motivi addotti contro il Piano potranno affiancare anche quello della sparizione del Piano e quindi della sua mancata attuazione.

Il ricorso contro il Piano, nella versione sottoposta ai pareri delle Camere e della Conferenza Unificata e mai pubblicamente modificata, invece viene argomentato con due tipologie di motivazioni e con un’ incidentale e subordinata richiesta di rinvio alla Corte Costituzionale della medesima norma di legge (l’art.64) che lo ha previsto.

Le due tipologie di motivazioni riguardano rispettivamente le violazioni per eccesso di delega nella delegificazione, quindi in violazione dello stesso art.64; e la violazione delle norme costituzionali in materia di legislazione concorrente e di attribuzione delle correlate competenze amministrative.

Ovviamente l’eccesso di delega praticato dal Piano rispetto alla legge (art. 64) viene posto in subordine alla contestazione della stessa legittimità della delega legislativa.

La palese natura regolamentare del Piano impugnato lo rende sicuramente illegittimo per la semplice considerazione che l’art. 117, 6° comma della Costituzione esclude che nelle materie di legislazione concorrente lo Stato abbia potere regolamentare. E che si sia in presenza di legislazione concorrente è certificato dallo stesso titolo dell’art.64 che detta disposizioni in materia di organizzazione scolastica.

Il ricorso richiama le disposizioni costituzionali segnalando che in seguito della riforma del Titolo V della Costituzione la materia dell’istruzione forma oggetto di potestà concorrente (art. 117, terzo comma Cost.) ed allo Stato è rimessa la sola competenza esclusiva in materia di “norme generali sull’istruzione” (art. 117, secondo comma, lettera n). Con la conseguenza che in materia di organizzazione scolastica, lo Stato, ai sensi dell’art. 117, III co. ultimo periodo, può limitarsi a dettare i principi fondamentali, ma non può certamente incidere con norme di dettaglio sulla organizzazione scolastica e sulla distribuzione interna del personale scolastico, la cui disciplina è di competenza esclusiva delle Regioni. Il ricorso segnala che la questione è stata, peraltro, oggetto di un intervento della Corte Costituzionale. con la sentenza n.13 del . 13.1.2004.

Così pure viene richiamato che anche con la normativa costituzionale precedente alla riforma del titolo V, la Corte Costituzionale con sentenza n. 376 del 10-23.7.2002, aveva chiarito che in materia di organizzazione scolastica lo Stato può dettare solo principi fondamentali e che tutta la legislazione di dettaglio spetta esclusivamente alle Regioni.

Appare evidente per i ricorrenti che violazione dell’art. 117 della Costituzione, che prevede che solo in materie di legislazione esclusiva, la potestà regolamentare spetta allo Stato, mentre in ogni altra materia la potestà regolamentare spetta alle Regioni. E poiché il Piano programmatico riguarda una materia di legislazione concorrente è evidente che lo Stato non ha alcun potere regolamentare, potendosi limitare solo ed esclusivamente a dettare i principi fondamentali.

Posta la violazione riguardante il Piano come atto amministrativo il ricorso pone in subordine la questione di costituzionalità dello stesso articolo 64, comma 3 che ha previsto il Piano e i successivi Regolamenti in violazione dell’art. 117, 6° comma, della Costituzione che recita che la potestà regolamentare spetta allo Stato solo ed esclusivamente nelle materie di legislazione esclusiva e che in materia di legislazione concorrente tale potestà spetta esclusivamente alla Regione.

Il Piano viene successivamente impugnato per violazione del giusto procedimento di legge. e per illogicità, in quanto l’art. 64 del D.L. 112/08 prevede uno strano ed abnorme procedimento, che rende di per sé illegittimo il Piano nel momento stesso in cui viene adottato. Ciò in violazione e con falsa applicazione degli articoli 70 e 76 della Costituzione

Infatti, l’art. 64, 4° comma, prevede che il Piano debba contenere tutta una serie di criteri di modificazione della legislazione vigente, che saranno poi specificati in regolamenti di attuazione, sulla base dei criteri individuati dalla legge, anticipando, quindi, un potere abrogativo che è dubbio che possano avere i regolamenti attuativi, ma che certamente non può avere il Piano.

Fino a che non verranno approvati i regolamenti di attuazione del 4° comma, e quindi, non si è ancora arrivati ad una fase di delegificazione, un atto amministrativo (come è il Piano) non può che rispettare la legislazione vigente, nel mentre, con il complesso ed anomalo procedimento legislativo innanzi descritto, si è previsto che proprio il Piano debba contenere i criteri per l’abrogazione e la modificazione della legislazione vigente.

Con la conseguenza che, sulla base di questo assurdo procedimento, il Ministro si è trovato nelle condizioni di approvare un Piano contrastante con la legislazione esistente; che sarà abrogata, se lo vorrà e se lo potrà essere, solo una volta che saranno approvati i regolamenti di attuazione.

Il Ricorso all’impugnativa del Piano come atto amministrativo fa seguire anche in questa occasione l’illegittimità costituzionale dell’art. 64, 3° e 4° comma per violazione degli artt. 3, 70 e 76 della Costituzione.

Infatti si sostiene che i commi 3 e 4 dell’art. 64 , prevedono che il Piano e cioè un atto amministrativo deve contenere i criteri per la modificazione della legislazione esistente.

Sempre l’art. 64, poi, prevede che i regolamenti di attuazione della delegificazione, adottati in attuazione del Piano, possono avere contenuto modificativo delle disposizioni legislative vigenti.

Con ciò palesemente violando i principi dell’ordinamento in materia di gerarchia delle fonti, di modificazione ed abrogazione della legge, così come individuati, peraltro, dall’art. 17 della legge 23.8.1988 n. 400. E la violazione è duplice. Da un lato, la legge 400/88 prevede che è la legge a dover contenere le norme generali regolatrici della materia mentre, nel caso in esame, tali norme sono contenute nel Piano e nei decreti di attuazione (che sono decreti di attuazione del piano e non della legge). Ma l’altro aspetto inquietante che viene denunciato è che, ovviamente, nei processi di delegificazione la legge 400/88 prevede espressamente che la norma disciplinante la delegificazione debba individuare quali siano le norme di legge che si ritiene abrogare.

E ciò è evidente in quanto solo il Parlamento può spogliarsi di un proprio potere.

Tutto ciò nel caso in esame non c’è, perché il legislatore si è limitato a prevedere che il Piano e cioè un atto amministrativo individui quali sono le norme da modificare e da abrogare.

Con la conseguenza che i decreti attuativi modificheranno le norme senza, quindi, che vi sia alcuna abrogazione espressa prevista dalla legge statale. Abrogazione espressa indispensabile, invece, per poter operare la delegificazione di una materia.

Il ricorso osserva che il procedimento previsto dall’art. 64 è del tutto illogico in quanto si inserisce tra legge e procedimento di delegificazione l’approvazione di un atto amministrativo il piano di cui al 3° comma dell’art. 64 – che, se vuole avere contenuto modificativo, deve essere necessariamente in violazione dell’attuale legge, ma non può esserlo per la sua natura di atto amministrativo.

Ma vi è di più perché, addirittura, i decreti di delegificazione non sono finalizzati all’attuazione della legge, ma sono finalizzati all’attuazione di un Piano e, cioè, di un atto amministrativo.

Solo dopo il processo di delegificazione poteva, viceversa, prevedersi una pianificazione di carattere non legislativo.

L’inversione del procedimento e l’inserimento di un atto amministrativo nell’ambito del processo legislativo di delegificazione rende di per sé illegittimo l’atto amministrativo e, comunque, rende non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 64 , 3° e 4° comma del d.l. 112/08 in relazione agli artt. 3, 70 e 76 della Costituzione.

Il Ricorso produce un ulteriore profilo di incostituzionalità in violazione dell’articolo 117 3° comma quando rileva che la decisione di delegificare la materia di cui all’art. 64, IV comma, attraverso il Piano e i regolamenti rende del tutto illegittime le norme delegificate per la semplice ragione che è lo stesso Legislatore a qualificare queste norme non come norme di principio ma come norme di dettaglio come tali pacificamente di competenza delle Regioni.

In proposito viene ancora richiamata la sentenza n. 376 del 10’-23.7.2002, peraltro riguardante l’originario testo del Titolo V della Costituzione, con cui la Corte Costituzionale ha stabilito che:«la delegificazione è in grado di introdurre un elemento di chiarezza: mentre in presenza di norme tutte legislative poteva sussistere il dubbio circa la loro natura di principio o di dettaglio, vincolante o cedevole, in presenza di norme regolamenteri non può sussistere dubbio alcuno sull’assenza di ogni loro carattere di norme di principio».

La circostanza che la Corte Costituzionale abbia salvato la legislazione statale di dettaglio, in base al principio di cedevolezza, affermando che esse sono in vigore fin tanto che le Regioni non legiferano nella materia non può valere in presenza di norme regolamentari.

In fine come si diceva il Ricorso impugna il Piano anche per l’illegittimità dei suoi contenuti stabiliti in violazione art. 64..

Innanzitutto perché disciplina l’ordinamento della Scuola dell’infanzia prevedendo tra l’altro la reintroduzione dell’anticipo delle iscrizioni abrogato dall’articolo 1, comma 630, della legge 289/2007. Tale previsione è illegittima, poiché l’art. 64 del D.L. n. 112/08 non menziona affatto la Scuola d’Infanzia tra gli obiettivi della riforma, limitandosi ad incaricare il Ministro dell’Istruzione di redigere un Piano programmatico per il miglioramento dei servizi scolastici, senza prevedere la revisione dell’ordinamento della scuola di infanzia.

Il Piano attuativo eccede inoltre la delega conferitagli dall’art. 64 D.L. n. 112/08, come integrato dall’art. 4 del D.L. n. 137/08, anche nella parte in cui incide sull’ordinamento didattico della Scuola primaria, intervenendo sull’organizzazione dei moduli, sopprimendola e sostituendola con un modello didattico operante con un maestro unico, cui è assegnata una cattedra di 24 ore settimanali.

La norma citata non prevede affatto l’estensione generalizzata del maestro unico a tutte le classi della scuola primaria, tanto è vero che si prevede, nei regolamenti da adottare successivamente, di tenere comunque conto delle esigenze delle famiglie, in relazione ad una più ampia articolazione tempo-scuola.

Nel Piano impugnato, invece, è chiara l’intenzione del Ministro di provvedere alla introduzione del cd. maestro unico ed alla sostituzione del precedente modulo didattico, basato su un tre maestri per due classi .In definitiva, quindi, il Piano prevede una riduzione degli organici del personale docente attraverso la generale applicazione del modulo del maestro unico all’intero ciclo didattico della Scuola primaria, senza che ciò sia assolutamente autorizzato da alcuna norma di legge.

Anche sotto tale profilo, pertanto, è evidente l’illegittimità del Piano che incide sull’ordinamento scolastico ben oltre i limiti che gli sono stati assegnati dalla legge.

Il Ricorso contro il Piano programmatico non presenta una richiesta di sospensiva preventiva all’annullamento ma presenta tuttavia tutte quelle caratteristiche di urgenza segnalate dai gravi danni che rischiano di arrecare alla scuola le misure in esso contenute.

In ogni caso l’interesse per la discussione delle questioni poste dal Ricorso non si esaurisce con l’eventuale entrata in vigore dei Regolamenti anche perché questi saranno a loro volta impugnati con tutte le motivazioni poste per contestare il Piano e con una assai rilevante in più:

i Regolamenti non danno attuazione al Piano programmatico ma prevedono criteri e riduzioni di organico differenti da quelli in esso indicati


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