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Repubblica: Repubblica: Atei devoti nel giardino del Papa

di Eugenio Scalfari

20/01/2008
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la Repubblica

NON CI sarebbe, secondo me, alcun bisogno di tornar a scrivere
sull'agitato rapporto tra laici e cattolici, tra laicità sana o malata,
tra spazio pubblico e spazio privato.

Questi e altri temi strettamente connessi sono infatti della massima
importanza per il rafforzamento delle regole di convivenza sociale in uno
Stato democratico, ma si evolvono e maturano con il passo lento dei
processi storici. È quindi, o almeno così sembra a me, inutile e forse
dannoso dibattere quotidianamente temi che sono già chiari alla coscienza
di molti anche se le risposte di una società complessa non sono univoche
ma plurime.

Capisco la voglia di farle convergere, capisco anche il legittimo
desiderio dei credenti e di chi li guida a spingere i non credenti verso
le loro convinzioni di fede per guadagnar loro la salvezza, ma capisco
meno la petulanza ripetitiva che talvolta accoppia lo slancio missionario
con un'attività pedagogica fondata sulla ferma credenza di chi depositario
della verità considera come inferiori intellettualmente e spiritualmente
quanti dissentono dal suo zelo religioso o ne accettano alcuni principi
ispiratori respingendone la precettistica che l'accompagna.

Il dibattito sulla presenza-assenza del Papa all'inaugurazione dell'anno
accademico della Sapienza ha rinfocolato alcune differenze sui modi di
pensare e sui comportamenti pratici che ne derivano.
Il Vicario di Roma, cardinal Camillo Ruini, ha lanciato da giorni
l'appello ad un'adunata di massa all'"Angelus" di oggi in piazza San
Pietro. L'adunata ha preso inevitabilmente la forma politica che è propria
delle manifestazioni di massa, dove è più il numero che la qualità a
determinare gli esiti di una politica "muscolare".

Così bisogna di nuovo affrontare quei temi, precisare il significato di
gesti e di parole, capire, se possibile, il senso di ciò che accade. La
storia dello Stato italiano è fortemente intrecciata con quella della
Chiesa. In nessun altro Paese questo intreccio è stato tanto condizionante
e la ragione è evidente: siamo il luogo ospitante del Capo della
cattolicità. Siamo stati e siamo il "giardino del Papa", ci piaccia o no.
Questa condizione ha determinato in larga misura la nostra storia sociale
e nazionale. Nel positivo e nel negativo, nelle azioni degli uni e nelle
reazioni degli altri. Le persone ragionevoli non dovrebbero mai
dimenticare queste condizioni di partenza, ma spesso purtroppo accade il
contrario.

* * *

Metto al primo posto del mio ragionare l'incidente della Sapienza. Su di
esso si è già espresso il nostro direttore ed io concordo interamente con
lui: una laicità malata ha suggerito ad un gruppo di docenti e di studenti
comportamenti di contestazione in sé legittimi ma divenuti oggettivamente
provocatori. Di qui la necessità di garantire la sicurezza dell'insigne
ospite, di qui la possibilità di tumulto tra opposte fazioni, di qui
infine il fondato timore che Benedetto XVI dovesse parlare nell'aula magna
mentre sotto a quelle finestre i lacrimogeni e i manganelli avrebbero
potuto esser necessari: spettacolo certamente insopportabile per il
"Pastor Angelicus" che predica pace e carità.

La contestazione "stupida", tuttavia, non è nata dal nulla ed è l'effetto
di varie cause, anch'esse ricordate nell'articolo di Ezio Mauro: l'invito
incauto del Rettore nel giorno, nell'ora e nel luogo dell'inaugurazione
dell'anno accademico. Non dovrebbe essere un evento mondano e mediatico
bensì l'indicazione delle linee-guida culturali e dei problemi concreti
della docenza e degli studenti.

Il Rettore, evidentemente, ha un altro concetto, voleva l'evento. E l'ha
avuto col risultato di dividere l'Università, la società, la cultura, le
forze politiche, in una fase estremamente delicata della nostra vita
pubblica.

Un esito catastrofico da ogni punto di vista, di cui il Rettore dovrebbe
esser consapevole e trarne le conseguenze per quanto lo riguarda. Ci
saranno tra breve le elezioni del nuovo Rettore. Quello attuale vinse la
precedente tornata per una manciata di voti. Questa volta si presenterà
come quello che voleva che il Papa parlasse alla Sapienza e ne è stato
impedito. Un "asset" elettorale di notevole effetto.

Mi auguro che il Rettore non se ne renda conto, ma in tal caso la sua
intelligenza risulterebbe assai modesta. Se se ne rende conto, il sospetto
di un invito con motivazioni elettoralistiche acquisterebbe fondatezza.
Per fugarlo non c'è che un rimedio: protestare la sua ingenuità e non
presentarsi in gara. I guelfi e i ghibellini nacquero anche così.

* * *

La risposta della gerarchia, guidata ancora da Ruini, è stata l'adunata di
stamattina. Mentre scrivo non so ancora quale sarà l'esito quantitativo ma
prevedo una piazza gremita e un mare di folla fino al bordo del Tevere. È
un evento da salutare con piena soddisfazione? È una "serena
manifestazione di affetto e di preghiera" per testimoniare l'amore dei
fedeli al Santo Padre? Certamente è una manifestazione più che legittima.

Certamente le presenze spontanee saranno robustamente rinforzate dalle
presenze organizzate, treni e pullman sono stati ampiamente mobilitati
senza risparmio di mezzi dal Vicario del Vicario. La motivazione è
esplicita: dimostrare al Papa l'amore del suo gregge dopo l'offesa subita.

Se questa non è una motivazione politica domando al Vicario del Vicario
che cosa è. Se questo non avrà come effetto di acuire la tensione degli
animi, la lacerazione d'un tessuto già usurato e logoro, ne deduco che il
Vicario è privo di intelligenza politica. Ma siccome sappiamo che invece
ne è ampiamente provvisto, ne consegue che il Vicariato di Roma si
prefigge di accrescere la tensione degli animi e di annunciare venuta
l'ora di rilanciare il partito guelfo che ha sempre avuto in cuore.

La Segreteria di Stato vaticana è dello stesso avviso? La Chiesa è unanime
in questo obiettivo?

* * *

Abbiamo celebrato giovedì scorso in Senato il senatore, lo storico, il
fervido credente Pietro Scoppola, da poco scomparso, alla presenza di
molti cattolici che hanno condiviso il suo pensiero e la sua fede e si
propongono di continuare nell'impegno da lui auspicato.

Scoppola aveva scavato a fondo nella storia dei cattolici italiani e
nell'atteggiamento di volta in volta assunto dalla gerarchia e dal
magistero papale. Distingueva il popolo di Dio dalla gerarchia; sosteneva
che la gerarchia è al servizio del popolo di Dio e non viceversa.

Mi ha fatto molto senso vedere, proprio alla vigilia del mancato
intervento del Papa alla Sapienza, la messa celebrata da Benedetto XVI
nella Sistina col vecchio rito liturgico rinverdito a testimoniare la
curva ad U rispetto al Concilio Vaticano II: il Papa con la schiena
rivolta ai fedeli e la messa celebrata in latino.
Qual è il senso di questa scelta regressiva se non quello di ribadire che
il mistero della trasformazione del vino e del pane in sangue e carne di
Gesù Cristo viene amministrato dal celebrante senza che i fedeli possano
seguire con gli occhi e in una lingua sconosciuta ai più? Il senso è
chiarissimo: l'intermediazione dei sacerdoti non può essere sorpassata da
un rapporto diretto tra i fedeli e Dio. Il laicato cattolico è agli ordini
della gerarchia e non viceversa. Lo spazio pubblico è fruito dalla
gerarchia e - paradosso dei paradossi - dagli atei devoti che hanno come
fine dichiarato quello di utilizzare politicamente la Chiesa.

* * *

Si continua a dire, da parte della gerarchia e degli atei devoti, che i
laici-laici (come vengono chiamati i credenti veramente laici e i non
credenti che praticano la laicità democratica) vogliono relegare la
religione nello spazio privato delle coscienze.

Questa affermazione è falsa. Chi pratica la laicità democratica sostiene
che tutte le opinioni dispongono legittimamente di uno spazio pubblico per
esporre e sostenere i loro modi di pensare.

La libertà religiosa è una, e direi la più importante, da tutelare sia nel
foro della coscienza che in quello pubblico. Non mi pare che difetti
quello spazio, mi sembra anzi che la gerarchia lo utilizzi pienamente
anche a scapito di altre religioni e massimamente di chi non crede e
potrebbe in teoria reclamare uno spazio più confacente.

Ma noi non abbiamo obiettivi di proselitismo. Facciamo, come si dice, quel
che riteniamo di dover fare, accada quel che può. Tra l'altro cerchiamo di
amare il prossimo e riteniamo che la predicazione evangelica contenga
grande ricchezza pastorale quando non venga stravolta in strumento di
potere, il che è accaduto purtroppo per gran parte della storia del
Cristianesimo da parte non del popolo di Dio ma della gerarchia che l'ha
guidato con l'obiettivo del temporalismo e del neo-temporalismo.

La lettura della storia dei Papi insegna molte cose e, quella sì, andrebbe
fatta nelle scuole pubbliche. Papa Wojtyla ha chiesto perdono per alcuni
di quegli episodi, ma non poteva certo chiederlo per tutti: avrebbe
certificato che per secoli e secoli la gerarchia si è messa sul terreno
della politica, della guerra ed anche purtroppo della simonia piuttosto
che praticare nello specifico il messaggio di pace e di povertà della
predicazione evangelica.

* * *

Ci saranno modi e occasioni per riprendere questo discorso che tende a
chiarire ciò che non sempre è chiaro.

Mi restano due osservazioni da fare. Giornali di antica tradizione laica
sembrano aver perso la bussola e si schierano apertamente accanto agli
atei devoti.
Di atei devoti la storia d'Italia è purtroppo gremita.
L'ultimo nella fase dell'Italia monarchica fu Benito Mussolini. In tempi
di storia repubblicana gli atei devoti fanno ressa e la faranno anche oggi
alle transenne di piazza San Pietro.

Questa prima osservazione mi conduce alla seconda.
L'onorevole Mastella nella sua conferenza stampa di Benevento, mentre gli
grandinavano addosso pesanti provvedimenti giudiziari, ha fatto come prima
affermazione quella relativa alla sua presenza oggi a piazza San Pietro.

Dopo averla fatta si è guardato fieramente intorno con sguardo
lampeggiante e ha scandito: "Io sono con il Papa e andrò a testimoniarlo
in piazza".
Ne ha pieno diritto. Personalmente mi auguro che i pretesi reati di
Mastella, di sua moglie, del suo clan, si rivelino per una montatura. Ma
il problema è sul comportamento politico e morale di Mastella, di sua
moglie del suo clan.

Un comportamento clientelare e ricattatorio che non ha scuse di sorta,
rappresenta una deviazione molto grave dalla democrazia. Non è
assolutamente valida la giustificazione proveniente dal fatto che si
tratta di un male diffuso.

Negli stessi giorni della "mastelleide" abbiamo assistito anche alla
"cuffareide": il popolo non di Dio ma di Totò Cuffaro si è radunato in
preghiera nelle chiese della Sicilia; il "governatore" ha pianto di gioia
e si è fatto il segno della croce quando ha ascoltato la lettura della
sentenza dalla quale è stato condannato a cinque anni di reclusione (che
non farà) e all'interdizione dai pubblici uffici che non rispetterà.

Il capo del suo partito, Casini, e il capo della coalizione di
centrodestra, Berlusconi, si sono immediatamente complimentati con lui.

Che cos'ha di cattolico il comportamento di Clemente Mastella e di Totò
Cuffaro? Nulla. Anzi è il contrario dello spirito cristiano.

Fossi nei panni del Vicario del Vicario farei discretamente e con mitezza
sapere a Mastella, a Cuffaro, a Berlusconi, a Casini, che i loro
comportamenti sono a dir poco imbarazzanti per la Chiesa e forse farebbero
bene a non presenziare manifestazioni di testimonianza cristiana. Ma se
poi si venisse a sapere che anche Camillo Ruini è un ateo devoto? Del
resto sarebbe l'ultimo in ordine di tempo di un'interminabile sfilata di
papi, cardinali, vescovi, abati, che tradirono - devotamente - il
messaggio celeste del Figlio dell'uomo, da essi rappresentato.

(20 gennaio 2008)


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