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Repubblica: Questa università malata

Cosa c´è all´origine del degrado

21/04/2006
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la Repubblica

Un sistema ben funzionante deve tenere in equilibrio ricerca e didattica Ma la riforma ha privilegiato la seconda a scapito della prima. E gli atenei sono ora grandi scuole medie
I segnali della produttività sono il numero degli iscritti e dei laureati
ALBERTO ASOR ROSA

L´Università italiana è malata: gravemente. Da questa diagnosi pochi dissentono. Sulle cause del male, e sui rimedi conseguenti, le opinioni si moltiplicano e, ovviamente, divergono. Nessuno, però, - nessuno nel senso letterale del termine, - ne indica una, che è al tempo stesso la più semplice e la più decisiva.
L´Università (almeno quella italiana) è un sistema binario; svolge e produce ricerca; realizza e offre formazione e didattica. Il sistema ben funzionante tiene in equilibrio e mette in rapporto le due cose; va in rovina invece quello in cui uno dei due canali prevale troppo nettamente sull´altro. Non s´è mai visto, se non nei bei tempi andati (e anche allora in una forma molto particolare), che nel sistema universitario italiano la ricerca prevalesse sulla formazione e la didattica. Più frequentemente è accaduto il contrario. L´introduzione della legge di riforma degli ordinamenti didattici, conosciuta come legge Berlinguer, ha accentuato enormemente tale tendenza, soprattutto nei settori umanistici ed economico-sociali. Una Università in cui la didattica prevalga nettamente sulla ricerca, fino al punto di soffocarla, diventa una grossa Scuola Media superiore, con tendenza al degrado. Questa è la strada su cui si avvia l´Università italiana.
Anche di questa fenomenologia si possono dare diverse spiegazioni e suggerire diversi rimedi. Io indicherò delle une e degli altri la più semplice e il più semplice, perché ambedue strutturali: riguardanti cioè il modo d´essere, istituzionalmente parlando, dell´Università italiana attuale.
Il Dpr 382 del 1980 (attenzione: più di venticinque anni fa, poi più nulla), introduceva, interpretando una legge parlamentare, le uniche modifiche sostanziali nella struttura dell´Università italiana dopo le leggi fasciste, e cioè: i Dipartimenti («strutture primarie e fondamentali per la ricerca, omogenee per fini e per metodi», autonome e indipendenti rispetto alle Facoltà e dotate perciò di un governo proprio); e i Dottorati di ricerca (cui veniva affidato il compito dell´alta specializzazione post lauream). Inoltre, quel Dpr rafforzava e disciplinava il finanziamento dello Stato per la ricerca scientifica alle singole Università, traducendo in pratica una precisa intenzione del legislatore.
Alle Facoltà, articolate nei Corsi di studio, restava il compito di organizzare la formazione e la didattica (essendo oltre tutto, com´è ovvio, insufficienti le competenze disciplinari del singolo Dipartimento a formare un profilo professionale).
Ora, la mia tesi è che da quel Dpr non si è andati avanti: anzi, si è tornati indietro. E cioè: non c´è stato nessun ulteriore tentativo, né legislativo né locale, di armonizzare il sistema binario che in tal modo s´era creato. La forza inerziale delle abitudini e la pressione conservatrice dei gruppi di potere accademici hanno fatto il resto.
In campi come questo preferisco parlare di fatti, e i fatti sono questi. Se il sistema è binario, bisognerebbe fosse governato, in ognuno dei suoi snodi e soprattutto al vertice (Senato accademico e Consiglio di amministrazione) da una rappresentanza paritetica delle due funzioni fondamentali, e cioè ricerca e didattica.
Nemmeno per sogno. Le Facoltà, - oltre tutto generalmente organismi pletorici e disomogenei, e perciò più facilmente controllabili da logiche di potere, - filtrano e dominano le funzioni più decisive (per esempio, le chiamate) e gestiscono fondamentalmente la rappresentanza negli organismi centrali.
Non credo che sia mai diventato Rettore di una Università italiana un Direttore di Dipartimento: a quella carica si accede solitamente passando per la Presidenza di una Facoltà. Ovviamente la Crui (Conferenza dei rettori delle Università italiane), massimo organo di gestione dell´autonomia universitaria, è formata di Rettori, che sono stati tutti Presidi (e anche, per la precisione, tutti maschi, salvo un´eccezione, se non erro).
Questo dunque ha significato che per venticinque anni la ricerca, - di cui si dovrà riconoscere che è il motore e l´alimento della didattica, - ha dovuto lottare per farsi strada nel ginepraio di un sistema incompiuto. Voglio dire: l´impoverimento culturale, che ne è seguito e che oggi è sotto gli occhi di tutti, è altrettanto strutturale della causa che lo ha provocato. Qualcuno oggi studia perfino come riassorbire i Dipartimenti nel sistema-Facoltà (potrei fare degli esempi).
In questo quadro diventa comprensibile che si spostino perfino i segnali della (cosiddetta) produttività universitaria sui fattori più esterni della stessa. Per esempio, e in modo totalitario e analiticamente ingiudicabile, sul numero degli studenti iscritti e/o laureati. Ne deriva pressoché automaticamente la proliferazione, favorita dalle Facoltà, di Corsi di Studio (e Master), la cui funzione è fondamentalmente quella degli specchietti delle allodole per gli studenti (gli ambiti più frequentemente esibiti in questa galleria delle innovazioni sono la moda, il turismo, lo sport, la tv, il mercato culturale, ecc.). Altra cosa sarebbe, ovviamente, la creazione di un serio sistema di valutazione della ricerca (nei diversi ambiti e, io direi, con diversi criteri).
Cioè: all´Università ci si può vendere, ma solo fino ad un certo punto, e non come priorità. Il Mercato! ecco l´altra grande parola magica dell´attuale situazione d´incertezza e di sfascio: chi più vende la propria merce, avrebbe più valore. Ma questa regola non funziona nel sistema binario finora descritto. Ecco: la funzione dell´Università italiana, che è e resta squisitamente "pubblica" (e non privata), deve servire a ristabilire la corretta gerarchia dei valori.
Alcuni hanno pensato, riflettendo su questa situazione, all´istituzione di una serie di organismi di alta specializzazione, che si collocherebbero di fatto più a lato che non dentro il sistema universitario italiano.
Naturalmente nulla di ciò che si presenta e vuol essere buono va rifiutato. Ma chi arriverà fra i giovani (e come, e in quali condizioni) all´alta specializzazione, riuscendo a trarne giovamento? È nel corpo gigantesco e unitario dell´Università italiana, - al livello e in connessione con i corsi normali, - che l´intervento a favore della ricerca e di chi la rappresenta andrà operato. Perché, se il sistema non ritroverà rapidamente il suo equilibrio, presto sopravverrà l´asfissia.


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