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Repubblica/Napoli: Il ruolo dell´Università

Si annunciano iniziative di vario genere per ricomporre le schegge infrante dell´identità civile e culturale della nostra città

12/01/2008
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la Repubblica

PAOLO FRASCANI
Si annunciano iniziative di vario genere per ricomporre le schegge infrante dell´identità civile e culturale della nostra città. Accolgono le domande dei tanti cittadini che vogliono metter fine a una "nuttata" interminabile. È difficile riavviare le cose, servono punti di vista condivisi non solo sulla chiusura di un ciclo politico e sul suo difficile superamento, ma anche sugli interventi capaci di agire efficacemente sul tessuto civile e culturale dei nostri territori. In questi giorni abbiamo visto lacerare lo stesso involucro delle disparate componenti sociali della Napoli di inizio millennio. Le agitazioni di Quarto e di Pianura, depurate delle infiltrazioni politico malavitose, parlano di un disagio sociale diverso da quello di Scampia, una protesta che spinge in strada frammenti di classi medie esasperate, per portarle a protestare fin dentro il cuore della città. È gente che dovrà essere rassicurata e convinta che qualcosa possa veramente cambiare. Diventa pressante l´esigenza di mobilitare le disperse energie della società civile intorno a obiettivi di sviluppo condivisi, monitorando quello che è in corso d´opera, e rendendone visibili tempi e contenuti della sua realizzazione: come se si trattasse dell´inceneritore d´Acerra. Torna preponderante, come annuncia il Forum organizzato da Andrea Geremicca e Biagio de Giovanni, il ruolo delle istituzioni culturali. Tra queste, l´Università ha brillato per il suo sostanziale silenzio. Il suo ruolo nella città è ineguagliabile. Raccoglie una delle più estese comunità di studenti del Paese e costituisce lo spazio professionale di riferimento per la società civile napoletana. In occasione di emergenze altrettanto gravi, non ha fatto mancare la sua benefica voce: fu in prima linea nei giorni del terremoto del 1980. In tempi più vicini ha fornito contributi rilevanti alla tenuta del sistema economico e istituzionale del territorio, supplendo con le sue competenze alle organiche carenze di tecnici e di manager, ma pagando un prezzo che non può essere sottaciuto.
Mettendo in "libera uscita" le sue risorse intellettuali senza garanzie adeguate agli esiti della posta in gioco, l´Università, come istituzione, ha perso l´occasione per diventare un interlocutore strategico, e non subordinato, della politica locale, il punto di riferimento per una progettualità alta dei destini dei nostri territori. Ne traiamo conferma dallo stesso conflitto in atto tra le varie componenti del silente Partito democratico: vede in campo leader prestati alla politica dal mondo accademico. Scienziati e intellettuali di prestigio che hanno voluto correttamente distinguere le scelte politiche da quelle professionali, ma che si sono in tal modo preclusi la possibilità di tener accesso il focherello, quasi estinto, della partecipazione culturale e civile all´interno della casa madre.
La cosa non meraviglia. L´istituzione di cui parliamo è additata come una delle principali cause del "declino" italiano. Il suo "decaduto" ceto di docenti è stato privato della linfa vitale di nuove generazioni di ricercatori. Nelle sue aule passano frettolosamente schiere di studenti in cerca di rapide e burocratiche certificazioni. Perché Napoli dovrebbe fare, in questo senso, eccezione?
Sono argomenti difficili da confutare ma che non ci impediscono di ritenere che, mentre l´immagine della nostra identità culturale va in frantumi, varrebbe la pena di ripensare al ruolo e alle potenzialità civili della "vecchia" Università, anche in controtendenza con ogni visione, ormai retorica, sull´asetticità e sulla neutralità del "sapere" che in lei dovrebbe albergare. L´idea non è, poi, del tutto peregrina. Andando alla ricerca di forme di controllo all´economia del libero mercato, il premio Nobel per la chimica Richard Ernst ha scritto che spetta «alla comunità accademica delle università analizzare criticamente gli attuali trend in economia, in politica e negli stili di vita, in vista di un futuro prospero, duraturo e sereno per il nostro pianeta, come pure mettere in guardia l´opinione pubblica e dare consigli costruttivi» ("La Repubblica", 8 gennaio). Ernst è convinto che le «università torneranno a diventare centri di ispirazione per il rinnovamento della società», e ha presente le efficienti e più motivate comunità scientifiche del mondo anglosassone. Da noi il clima è diverso, ma qualcosa pure si muove. Ben 63 professori di fisica dell´Università La Sapienza, di Roma, hanno criticato, nei giorni scorsi, la presenza del pontefice Benedetto XVI all´inaugurazione dell´anno accademico. Lo hanno contestato «in nome della laicità della scienza e della cultura e nel rispetto di questo nostro ateneo, aperto a docenti e studenti di ogni credo e religione».
Tornando ai drammi di casa nostra va, adesso, segnalata positivamente e lascia ben sperare, la mozione espressa dal senato accademico dell´Università l´Orientale per valorizzare il ruolo di "Napoli città italiana ed europea". Insomma proviamo a scendere dall´albero della scienza prima che venga falciato e spargiamone qualche frutto intorno a noi. Ce n´è bisogno.


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