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Repubblica-La scuola della civiltà

La scuola della civiltà I l ritorno dell'autorità e della disciplina nelle nostre aule sarebbe una conquista, riaffermando la centralità scolastica come luogo dove apprendere i fondamenti...

07/12/2004
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la Repubblica

La scuola della civiltà

I l ritorno dell'autorità e della disciplina nelle nostre aule sarebbe una conquista, riaffermando la centralità scolastica come luogo dove apprendere i fondamenti del vivere civile
GIULIO ANSELMI

Sei settimane dopo, quattro dei cinque ragazzi milanesi responsabili di avere allagato il liceo Parini sono tornati a lezione: hanno scontato quindici giorni di sospensione, il massimo del previsto, meno di quanto chiedessero molti professori; buona parte dell'istituto sarà inutilizzabile ancora per un mese. A Genova, la direttrice di una "materna" si barrica di notte nell'edificio per difenderlo dai vandali che hanno già imbrattato e danneggiato le aule.
A Roma, in un liceo scientifico, a metà novembre, le lezioni sono state sospese per 48 ore a causa di un'invasione di vermi gettati nei corridoi e per le scale da studenti non identificati.
I tre episodi sono avvenuti a scuola, per questo hanno sollevato clamore e i media ne sono venuti a conoscenza. Ma innumerevoli sono i casi di violenza e di danneggiamento compiuti su autobus, nelle stazioni, in locali pubblici e privati di ogni genere: in gran parte rientrano nella cifra oscura, ma altissima, dei fatti non denunciati e non scoperti. È una galassia di comportamenti incivili, il più delle volte criminali, di fronte ai quali la nostra società non reagisce, un po' per indifferenza un po' per sfiducia, accentuata dall'atteggiamento tenuto con frequenza dalle forze dell'ordine nei confronti delle vittime dei piccoli reati. C'è ben di peggio di cui occuparsi, l'effettiva sanzione viene riservata, quando va bene, ai responsabili dei delitti più gravi. La sinistra, spesso, preferisce non vedere, rassegnata a un male sociale che considera ineluttabile. Da destra (i cui elettori sono, nei fatti, altrettanto rassegnati), scatta ogni tanto la richiesta di punizioni esemplari. Accade di fronte a episodi di grande rilievo mediatico o particolarmente efferati: in parte è reazione di paura, in parte è cultura della vendetta, oscillante tra la proposta di taglie e la tentazione del farsi giustizia da sé. L'espressione politica più forte di questo stato d'animo sta nella propensione a modificare la legittima difesa, sganciandola da ogni proporzione tra minaccia e reazione. Ma anche i moderati trascurano l'arbitrio minuto.
Così la quotidiana rinuncia a una fetta di legalità dilata il clima di insicurezza in un Paese dove l'anno scorso i reati (dati Istat) sono aumentati del dieci per cento. Le infrastrutture legali e istituzionali deperiscono giorno dopo giorno. Cesare Beccaria, che pur era padano, sosteneva la necessità di pene lievi, ma certe. I più grandi giuristi spiegano che le punizioni devono essere proporzionate ai delitti. Ma il concetto non dev'essere chiarissimo ai propugnatori della legge, già passata alla commissione Giustizia del Senato, che inasprisce le pene per chi imbratta i muri: reclusione fino a nove mesi e multe fino a 2.582 euro (per chi fa scarabocchi su un palazzo storico la sanzione può arrivare a due anni). Anche chi consideri, giustamente, barbaro il vezzo di sfregiare muri e portoni dei centri storici, converrà che tale sanzione è eccessiva, anche se domiciliare e accompagnata da misure correzionali all'inglese, come mettere mano a pennello e cazzuola per riparare il danno compiuto.
La demagogia politica preferisce illudere la gente.
Secondo Federico Stella, cattedra alla Cattolica, uno dei più grandi avvocati di Milano che parla con l'esperienza di 40 anni di professione, l'errore di base sta nel ritenere che il diritto penale possa avere una funzione deterrente e che il nostro carcere sia davvero rieducativo. La recidiva, cioè la ripetizione dello stesso reato in cui quasi sempre cadono i detenuti, dimostra invece che occorrono modelli diversi: per esempio trasformare la galera in una scuola-officina come quella sperimentata in India e poi introdotta in Australia e Gran Bretagna (l'Italia è in controtendenza, negli ultimi dieci anni il lavoro carcerario è quasi dimezzato). Ma soprattutto è necessaria una rivoluzione della scuola, che non deve più ridursi al trasferimento di nozioni, ma aiutare a distinguere il bene e il male sulla via della costruzione di un'eticità individuale. Dice il ministro francese dell'Educazione Francois Fillon che occorre "riaffermare la centralità scolastica come luogo dove apprendere i fondamenti dell'ordinato vivere civile".
Il ritorno dell'autorità e della disciplina nelle nostre aule sarebbe una grande conquista collettiva: spingerebbe gli insegnanti a riconoscere nell'educazione la loro ragione di essere, come ha scritto Umberto Galimberti, ricostruirebbe su una base più credibile i rapporti tra sistema scolastico e famiglie, conterrebbe l'intervento giudiziario. Oggi, istruzione e diritto sono complici nel rimuovere l'esistenza di un'area di comportamenti borderline, per motivi ideologici e per ragioni pratiche, riscoprendola soltanto in condizioni d'emergenza. E allora, non sanno far altro che ricorrere a parole d'ordine che allontanano ancora più i giovani: punire, punire, punire.


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