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Repubblica: La costituzione di Berlusconi

il rapporto tra costituzionalismo e democrazia. È la prima questione politica che si sono posti gli antichi e i moderni: ed è sempre, ancor oggi, stringente, nel senso che ad essa non si può sfuggire

07/04/2009
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la Repubblica

Adrea Manzella

nAd un certo punto dei suoi discorsi, alla Fiera di Roma, il leader del nuovo partito ha cominciato a leggere il primo articolo della Costituzione. Ma non l´ha letto tutto. Si è fermato al primo periodo: quello che dice che «la sovranità appartiene al popolo». Se avesse proseguito nella lettura, avrebbe dovuto spiegare niente di meno che il rapporto tra costituzionalismo e democrazia. È la prima questione politica che si sono posti gli antichi e i moderni: ed è sempre, ancor oggi, stringente, nel senso che ad essa non si può sfuggire. E infatti i costituenti del 1948 non scapparono affatto. E dopo aver scritto che «la sovranità appartiene al popolo», aggiunsero: «che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».
Vi sono dunque "forme costituzionali" secondo le quali il potere della maggioranza popolare deve esprimersi per essere legittimamente riconosciuto. E vi sono "limiti costituzionali" al potere della maggioranza. Limiti che, come paletti, segnano il terreno dove si esercita la giusta pretesa del governo a governare: ma ne evitano abusi e straripamenti in altri campi. Quali sono questi campi? In primo luogo, la sfera delle libertà individuali e collettive ma anche gli spazi di potere pubblico che la Costituzione ha voluto sottrarre al principio assoluto di maggioranza: gli spazi dei giudici, della Corte Costituzionale, del Capo dello Stato. Queste aree sono indisponibili alla potestà di governo perché l´esperienza del governo degli uomini ha da sempre dimostrato che la concentrazione e la solitudine del potere degenerano infallibilmente. La mancanza di contraddittorio impoverisce il modo di prendere le decisioni. È ristretta la visione di chi non ha i molti occhi necessari per la complessità del mondo. Le paure e le incertezze rendono precaria la compagine statale e fragile lo spirito pubblico: quando non vi è giustizia indipendente dal potere. Sono naturali e inevitabili le insidie cui sono esposti comportamenti incontrollati e incontrollabili.
In sole dieci parole, l´art.1 della Costituzione, nella parte non letta dal presidente del Pdl, riassume dunque tutto questo (e molte altre cose ancora che ci vengono da esperienze lontane e durature: il americano, il 1789 francese?). Ma, soprattutto, il primo articolo dà la definizione di quello che si chiama "equilibrio costituzionale". Non ci potrebbe essere migliore formula infatti di quel semplice, ma fulminante accostamento tra sovranità popolare e limiti costituzionali. Con questa costruzione duale del potere pubblico, quella norma parla anche al futuro. Dice che, certo, la Costituzione per la necessità dei tempi può essere cambiata (nelle "forme" che innanzitutto detta per la sua revisione). Ma sempre ogni mutamento del potere democratico deve essere accompagnato da "limiti" che non alterino quell´originario equilibrio.
Il potere di decisione può essere spostato o accentuato in questo o quello degli organi costituzionali: e può così cambiare la geografia di governo. Ma, sempre, vi dovrà essere nei cambiamenti una logica costituzionale dei "limiti". Cioè di contrappesi adeguati a quello stesso spirito di ammodernamento che dovrà giustificare la maggiore forza del "governo dei più".
Non è possibile una scissione di quella fondamentale norma costituzionale, neppure nel silenzio(come si è fatto alla Fiera di Roma). Sostenere la necessità di riforme costituzionali e tacere sulla contemporanea necessità di rivedere, in alto, "forme" e "limiti" della Costituzione equivale a tradirne l´intima armonia ,a violarne i sistemi di sicurezza. Quelli che furono posti contro la "tirannia di qualunque maggioranza" (e non solo contro la tirannia allora recente del fascismo).
D´altra parte, come gli ultimi anni hanno dimostrato, il potere di governo sa difendersi da solo. È perciò molto più realistica l´esaltazione che è stata fatta della tenuta e dei risultati dell´"asse" maggioranza-governo che non le lamentele sulla debolezza dei poteri governativi. È assai difficile però sostenere, tutto d´un fiato, una cosa e l´altra. La verità è che in un sistema bipolare, degenerato a muro contro muro senza intercapedini, il deficit autentico è quello delle garanzie: e lo subiscono le minoranze.
Non è dunque un peccato volere il "premierato assoluto", con potere di sciogliere le Camere, o forme di presidenzialismo a diretta elezione popolare. Non lo è neppure in un posto dove il presidenzialismo sarebbe a catene mediatiche unificate. Né tantomeno un presidenzialismo sorretto da un imponente fronte populista. Il peccato grande è andare avanti su quella strada senza minimamente alludere a quelle naturali difese, agli "anticorpi" che si devono prevedere proprio per salvaguardare quell´equilibrio di cui la Costituzione ci parla a cominciare del suo primo articolo.
Negli Stati Uniti c´è il presidenzialismo. Ma è considerato scorretto perfino definirlo così: perché dire presidential government sarebbe come ignorare il Congresso, il grande e potente parlamento. L´equilibrio della loro Costituzione è tutto nei reciproci controlli e bilanciamenti, nella "leale cooperazione", nella condivisione di potere da parte di istituzioni separate. Se il Presidente rifiuta di promulgare una legge, per superare il suo veto, è necessaria una maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera. Ma il "parere e il consenso" del Senato sono richiesti per più di mille importanti cariche federali sulle proposte del Presidente. E ogni commissione del Congresso dispone di poteri equivalenti alle nostre commissioni di inchiesta. I ministri (i loro "segretari di dipartimento") sono responsabili solo verso il Presidente: ma, prima di entrare in carica, devono passare l´esame rigoroso, sotto giuramento, della commissione del Senato competente per materia?
In Francia c´è un quasi-presidenzialismo, accentuato dal rapporto Presidente-parlamento, dopo la riforma Sarkozy del luglio scorso. Ma vi è anche qui un potere di veto delle commissioni parlamentari sulle più importanti nomine. E vi sono soprattutto, a segnare la vitalità di quel Parlamento, le possibilità per una minoranza di 60 deputati o senatori di chiedere l´intervento del Tribunale costituzionale preventivamente alla promulgazione delle leggi. Al giudizio preventivo costituzionale è sottoposta anche ogni revisione dei regolamenti parlamentari. Lo stesso numero di deputati o senatori può chiedere che sia verificata la costituzionalità dei poteri eccezionali che il governo esercita per crisi straordinarie. Addirittura ad una minoranza di deputati e senatori (un quinto dei membri del Parlamento) è riconosciuto un diritto di referendum legislativo, propositivo o abrogativo, a condizione che l´iniziativa sia sostenuta da un decimo degli iscritti al corpo elettorale.
Schematizzati al massimo, i due maggiori esempi di "presidenzialismo " dell´Occidente rivelano dunque una robusta struttura di equilibrio. La nostra deriva presidenzialista preoccupa perché i proclami contro la lentezza della democrazia sono lanciati senza la minima idea di un patto, di un sinallagma costituzionale di quel tipo. Senza appigli nella Costituzione, il cosidetto "statuto dell´opposizione" è una vecchia bolla d´aria. Che la maggioranza punti su questo patto leonino è quasi normale. Che lo accetti la minoranza (con documenti come quello approvato alla Camera il 24 marzo scorso) sarebbe sorprendente.
Eppure basta, per capire, rileggere integralmente l´art. 1 della Costituzione.

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