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Referendum Scuola, depositate le firme. Ora il movimento che si oppone alla legge sulla “pessima scuola” chiede rispetto e democrazia

Di Domenico Pantaleo, Segretario generale della Federazione Lavoratori della Conoscenza CGIL.

11/07/2016
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L'Huffington Post

Alle ore 9 di giovedì 7 luglio, con il Comitato promotore, abbiamo depositato in Cassazione oltre 2 milioni di firme necessarie per chiedere la celebrazione del referendum per l'abrogazione di quattro norme contenute nella legge 107 del 2015 di riforma della scuola. Ora attendiamo fiduciosi il responso della Corte. Possiamo dire che si tratta di un successo, sia sul piano politico che su quello della mobilitazione, i cui protagonisti vale la pena citare qui: oltre a noi della Flc Cgil, Cobas, Gilda, Unicobas, USB, SGB, CUB, UdS, Link, Coordinamento nazionale scuola della Costituzione, Associazione nazionale per la Scuola della Repubblica, Adam, Adida, AND, Mida, Retescuole, Cesp, Illumin'Italia. Come si vede, organizzazioni, associazioni, movimenti, trasversali per orientamento politico e generazioni, hanno condiviso una proposta referendaria e una mobilitazione nella raccolta, pur in un periodo denso di difficoltà e di inciampi, da aprile ad oggi. È stata un'esperienza straordinaria, perché ci ha permesso di discutere con milioni di persone in un Paese nel quale si restringono gli spazi della partecipazione e le persone contano sempre meno nelle scelte della politica. Migliaia di attivisti dei sindacati e delle associazioni che hanno promosso i referendum hanno sacrificato il proprio tempo libero comprese le domeniche per raccogliere le firme, a dimostrazione che ancora l'impegno sociale e civile è nel DNA di una parte importante della societa.

Perché è un successo? Innanzitutto, perché non è più semplice per nessuno mobilitarsi per raccogliere le firme - almeno 500mila - su una proposta referendaria abrogativa, su temi anche molto specifici, come dimostra ampiamente, e purtroppo, l'impossibilità di altri comitati di raggiungere il numero delle firme necessarie, costretti a rinunciare. In secondo luogo, perché l'informazione sui quesiti referendari e sulla raccolta delle firme non è riuscita a sfondare i grandi mezzi di comunicazione, ed ha percorso le vie parallele dei luoghi di lavoro, delle piazze e dei social media. In terzo, e principale luogo, tutti i comitati hanno in qualche modo pagato lo scoramento, il logoramento, la delusione per il mancato raggiungimento del quorum in occasione del Referendum sulle trivelle, chiesto da 9 Consigli regionali, lo scorso 17 aprile. È stata una ferita democratica profonda aver consigliato di disertare le urne quella domenica di aprile. Gli effetti, nefasti per la democrazia e nell'opinione pubblica, li abbiamo constatati nella prima settimana di luglio, quando l'unico comitato che è riuscito, non senza fatica, a depositare le firme è stato il nostro, quello sulla scuola pubblica. Il nostro è dunque un successo, ma rimane forte l'amarezza per gli altri comitati, ai quali rivolgiamo la nostra più totale solidarietà. Il referendum resta un diritto costituzionale dei cittadini, ma quando il potere esecutivo e politico ci mette la sordina, quando si avverte nell'opinione pubblica la sensazione di inutilità e di "spreco", addirittura (quante volte ci è stato detto, in occasione del 17 aprile, che si sarebbe trattato di uno spreco?), quando ai cittadini si chiede di firmare e la risposta più diffusa è "tanto non serve a nulla", si solleva una enorme questione democratica, legata appunto alla partecipazione politica collettiva. La massiccia astensione dal voto anche nell'ultima tornata elettorale delle amministrative indebolisce le istituzioni democratiche e rafforza i poteri oligarchici che intendono ridurre le persone a semplici spettatori per imporre i propri interessi. Il rapporto perverso tra politica e affari e la gigantesca questione morale che coinvolge istituzioni e partiti rendono ancora più complicato convincere le persone che cambiare si può e prende piede il senso comune che sono tutti uguali.

È poi del tutto evidente che qualora passasse la riforma costituzionale, gli spazi democratici si ridurebbero ancora di più, anche per l'effetto combinato con la pessima legge elettorale Italicum. La modifica della Costituzione, approvata da questo governo e dalla maggioranza parlamentare che lo sostiene, mina i grandi valori di uguaglianza sociale e solidarietà in essa contenuti per imporre una visione di società incentrata sul potere assoluto dei più forti. Si vogliono cancellare dal dibattito pubblico la funzione fondamentale del lavoro e dei beni comuni nella costruzione di un Paese più giusto e libero.
Per queste ragioni la sofferenza sociale e la necessità di cambiare l'agenda delle priorità per uscire dalla crisi deve essere il cuore della campagna sul referendum costituzionale che non può essere ridotto a un dibattito sulla sopravivenza o meno del governo Renzi. Nel caso della scuola, ad esempio, abbiamo bisogno di sollevare, nel dibattito pubblico, le quattro questioni al centro dei quesiti, dopo il giudizio ampiamente negativo sull'intero articolato del provvedimento. Non è indifferente per nessun cittadino italiano conoscere ciò che accade nella scuola pubblica con l'applicazione della legge 107 del 2015. Noi chiediamo al governo e al Parlamento di cambiare la pessima legge sulla scuola, che peggiora la qualità dell'istruzione e mette in discussione norme costituzionali fondamentali. La raccolta di oltre 2 milioni di firme, il clima di insoddisfazione e radicale critica ai contenuti della 107 che si respira nelle scuole confermano che continua a non esserci consenso sui contenuti della legge, nonostante la propaganda del governo. L'esito delle amministrative che ha penalizzato il Pd sicuramente ha visto il mondo della scuola rivolgere il proprio voto verso forze alternative al partito del presidente del Consiglio e anche questo dovrebbe far riflettere tutti. Serve un vero progetto di scuola giusta radicalmente diverso dalla 107 e noi siamo disponibili a dare il nostro contributo di idee e proposte. Si riapra un ampio confronto sul futuro della scuola pubblica coinvolgendo dal basso tutte le energie e le competenze disponibili perché la scuola è un bene prezioso per l'Italia e non una proprietà privata.

Per questo cerchiamo di comunicare, quanto più è possibile, i rischi legati all'ampliamento dei poteri dei dirigenti scolastici, che li trasforma da soggetti titolari della didattica, dotati di competenze professionali, in terminali burocratici. Dei disastri che si stanno compiendo con un modello di alternanza che da importante modello didattico e culturale per avvicinare scuola e lavoro, scuola e trasformazione della società sta scivolando verso la ricerca affannosa di soggetti che comunque garantiscano le ore previste dalla legge. Cosa c'entrano con l'alternanza il lavoro nelle sacrestie, le cooperative che si occupano di servizi, i supermercati, le imprese che non fanno formazione per i loro dipendenti e offrono progetti di alternanza, il riordino delle biblioteche? Oppure modelli fotocopia di impresa simulata che così rischia di disperdere il rapporto tra scuole e realtà economiche, sociali e ambientali dei territori. In molti casi l'alternanza si sta trasformando in lavoro gratuito prestato dagli studenti senza alcuna garanzia. Poi sicuramente c'è tanta buona alternanza frutto di progettualità delle scuole e imprese con notevole qualità innovativa e formativa e dovrebbero essere quelle esperienze a guidare il modello di alternanza. Non ci sembra indifferente sapere cos'è e come funziona un comitato di valutazione dei docenti in ogni istituto e come vengono applicate le regole sulla premialità, che bypassano gli accordi contrattuali, unici depositari di qualunque decisione sul salario. Né ci sembra indifferente che si apra un dibattito pubblico sulla palese incostituzionalità e ingiustizia della norma che assegna un bonus scuola per coloro che decidano di scegliere le scuole private. Non ci sembra che sia una eresia chiedere che, anziché mance, a tutto il personale della scuola e dei comparti della conoscenza venga garantito il rinnovo del contratto nazionale.
Ecco, i quesiti referendari sulla legge 107 del 2015 emergono dal grande movimento di opposizione a quella nefasta legge, ed è saggio, democraticamente e politicamente, rispettare quel movimento, quelle firme depositate, e il dibattito pubblico che si vorrebbe aprire, qui, ora, e nel futuro.


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