«Prof, vuoi diventare un mio amico?» I dubbi degli insegnanti su Facebook
Contatti con gli alunni via Internet. «Un’opportunità» . «No, confusione di ruoli»
Ricordate il professor Talarico, l’insegnante del film «La scuola è finita» che vuole fare il giovane, suona la chitarra e durante un’occupazione organizza pure un concerto sul tetto del disastrato Istituto Pestalozzi? Il professor Gianni Fibbi non c’entra nulla. Ha 60 anni, non suona la chitarra e insegna grafica al Professionale Datini di Prato. È su Facebook, per chi non lo sapesse è il secondo sito internet più visitato al mondo, quello dove si può chiacchierare con l’aggiunta di foto e video. E tra i 200 amici in lista una trentina sono suoi studenti. «Chi insegna deve conoscere gli allievi — dice — ed è su quelle pagine che loro parlano davvero. È una grandissima opportunità per motivarli allo studio» . Non è un caso isolato questo simpatico professore toscano. Qualche settimana fa il portale skuola. net ha organizzato un sondaggio. «Oltre ai tuoi coetanei chi hai tra gli amici su Facebook?» . Ha risposto «professori» l’ 8%dei quasi mille partecipanti. Normale evoluzione della chiacchiera post campanella, oppure c’è qualcosa di più, qualcosa di diverso e magari di sbagliato? Ieri sul tema si interrogava Libération, il quotidiano della sinistra francese: è un modo per accendere l’interesse dei ragazzi oppure si rischia di confondere i ruoli, un po’ come quei genitori che pensano di essere i migliori amici dei figli? Torniamo al Datini di Prato. Adriano Bolognesi insegna italiano, di anni ne ha 37, potrebbe essere figlio del suo collega formato internet. Ma la pensa all’opposto: «Su Facebook neanche ci sono e penso sia sbagliato usarlo con gli studenti. Il professore deve essere vicino allo studente, per carità. Ma deve rimanere professore sensa trasformarsi in amico. Gli amici loro li hanno già» . Chi ha ragione? Tra pochi giorni negli Stati Uniti, in Virginia, voteranno un documento che raccomanda agli insegnanti di evitare scambi via sms e via internet con gli studenti. C’è chi teme che il contatto diretto e «segreto» possa portare a pericolose degenerazioni, peraltro possibili anche dal vivo. «Non sono mai io a chiedere l’amicizia — dice ancora il professor Fibbi — ma se me la chiedono loro perché dovrei dire di no?» . Lui racconta che proprio grazie a Facebook è riuscito a riportare a scuola un ragazzo che aveva deciso di smettere di studiare. «Non lo vedevo più da giorni, l’ho trovato sulla rete e dopo una settimana è tornato in classe. Vi sembra poco?» . Qualche rischio, ma solo scolastico, lo vede anche Caterina Grimaldi, docente di italiano allo Scientifico Newton di Roma. A lei, su Facebook, gli studenti hanno dedicato addirittura un fan club. Ma non l’ha nemmeno voluto vedere: «Possono nascere simpatie, mettendo a rischio la serenità di giudizio e l’imparzialità che noi dobbiamo avere ogni giorno. Se c’è qualcosa da dire, parliamoci al mattino» . «È vero — ribatte Antonio, docente in un liceo torinese che invece su Facebook ha 20 amici studenti — ma i favoritismi sono possibili anche senza internet. E infatti ci sono sempre stati» . Il punto è che Facebook non è per forza un buco della serratura. In realtà molti insegnanti lo usano come bacheca, certi che quella virtuale sarà controllata molto più spesso di quella reale in fondo al corridoio. Giulia Marcedda, 18 anni, è una delle studentesse amiche su Facebook del professore di Prato: «Ma cosa pensate? La maggior parte dei messaggi sono rivolti al gruppo in cui c’è tutta la classe. Roba di servizio: domani interrogo, studiate questo, ripassate quest’altro. E funziona» . Funziona? Giuseppe Bertagna, ordinario di Pedagogia all’Università di Bergamo, premette che «dipende da caso a caso» . Ma poi molla il colpo: «I professori parlino con i loro studenti, costruiscano una scuola che non sia distante e burocratica invece di fare i confidenziali a distanza. Il rischio è che siano amiconi su Facebook solo per avere un alibi e farsi i fatti propri in classe. E invece l’educazione ha bisogno di inflessioni della voce, movimenti delle mani, corrugamenti della fronte...» . Lorenzo Salvia