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Pierino e l'Italia delle firme false

di Mila Spicola

10/01/2012
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l'Unità

durezza del rimprovero.

Pierino falsifica la firma del papà in una giustificazione, la professoressa se ne accorge e lo rimprovera aspramente “se tu fossi adulto, per un simile atto potresti andartene in galera”. Il papà avvertito, prende Pierino e lo rifà nuovo a rimproveri.

Questo ci aspettiamo no?

E invece no. Il papà e la mamma di Pierino, turbati dal turbamento della creatura, sangue del proprio sangue, occhi dei propri occhi e atti dei propri atti, vanno dai Carabinieri e denunciano la professoressa per abuso dei mezzi di correzione. Una querela da 35mila euro richiesti come risarcimento danni. “Perchè mica ci si può permettere di dare del galeotto a un innocente..So ragazzi!!!” E dunque intanto ti querelo e te la faccio pagare in euro la tua mal creanza e acredine e persecuzione nei confronti del mio bambino. Soldi tutti da investire nel futuro e negli studi del povero perseguitato immagino.  Ma anche no. Ci sarebbe il secondo bagno da rifare in casa. Mò ti faccio vedere io chi ha ragione.

Tutto questo di fronte a un Pierino tra lo stupefatto e il rassicurato con lo sfondo di compagni di classe, di scuola, di città, di regione e di paese, tutti ragazzini seri e compìti però, non si sa mai, se un giorno capita a me di far la marachella papi e mami corrono in questura come ringraziamento per non prenderli a ceffoni quando arrivo a 18 anni. Attenzione: sto semplificando, generalizzando, esagerando. Ma sui fondamentali, perchè poi, sulle sfumature, sui dettagli che fanno poi sostanza, la verità è che nella maggior parte dei casi è difficilissimo che un genitore accetti una critica o un rimbrotto al proprio pargolo, come critica e riflesso alla propria coscienza. Non li separa più. I figli sò pezze e core. Pure quando lanciano petardi in faccia a qualcuno.

Il tutto aggravato dal fatto che molti di noi sono convinti che l’unica via per la risoluzione dei conflitti siano la legge, la magistratura, la certezza del diritto. Non la certezza del buon senso e le normali relazioni tra individui di una comunità. Posto che ci fossero i presupposti e gli esiti per denominarlo “conflitto” e  che siam giunti al punto che, se non confliggi con qualcuno, non esisti.

Il confine chiaro e netto di ciò che si può fare e ciò che non si può fare e che va condannato, sia che si abbiano 12 anni sia che se ne abbiano 96 poi sfuma in mille e infinite declinazioni e deroghe. In ogni ambito e in ogni latitudine, reale o virtuale e dunque il ragazzino, che scemo non è, si adegua. Se tutti sono furbi lo sono pure io. E vabbè, anche qualcuno di noi avrà bigiato a scuola una volta, ma se lo ricorda perchè le prese di santa ragione, non perchè papà salì a bordo della sua 600 beige dirigendosi in questura. E non c’era angolo in cui nascondersi, nè di casa, nè per strada, nè a scuola per non essere additato come un “piccolo criminale”. Non certo l’eroe della furbizia. L’eroe cioè dei tempi nostri.

Il confine tra lecito e non lecito negli anni si è via via lacerato, insieme al relativo senso delle proporzioni, insieme  alle elementari e autonome leggi del rispetto, non come atto formale ma anche come atto immateriale, spontaneo, di fiducia verso i simili che vivono nella stessa comunità (del genitore verso il docente, del genitore verso il figlio, del figlio verso entrambi) e si disperde nei mille rivoli delle azioni e reazioni: dalla barzelletta minimizzante del “che vuoi che sia tanto lo fanno tutti e tutti sono uguali”o “sono ragazzi, non esageriamo”, quando si è autori di torto, al soccorso della legge come se gli fosse caduto in testa l’apollo 11, tirato contro per provato complotto, quando si è “vittime” del torto. Anche quando pensare di essere nel giusto fosse una solenne e palese cavolata.

Efficacia della durezza del rimprovero in campo educativo? Potremmo parlarne per giorni. Il che la dice lunga sull’incertezza in materia che attraversa trasversalmente famiglie e scuole, ma no, che dico, attraversa il paese intero, travalica, supera le nazioni. La trasmissione dell’educazione ha valore quando trasferisce un bagaglio di valori comuni, e quel bagaglio si fa comunità. Oggi non è più così. E’ così leggera e particolare da evaporare. Il bagaglio di valori che si trasferisce vale solo per la propria tribù. Per il mononucleo familiare. Tutto è garantito e ordinato dentro quel nucleo, fuori invece fischia il vento e urla la bufera, gli altri sono lupi e noi in lupi dobbiamo trasformarci. Anche a scapito della stessa legge che poi cerchiamo in soccorso quando ci arriva, puntuale, il presunto torto.

Il ragazzo non fa altro che imitare. Imita. Imita i comportamenti dei genitori, dei compagni, imita i comportamenti televisivi, quando assiste per ore e ore a quei comportamenti. E metabolizza. Osserva, si nutre di ciò che vede e vie e ne ripete le azioni e le reazioni.

Per questa volta il gip ha archiviato il caso, com’era logico fosse, per evidente assenza di reato. Ma pensate a tutte le volte in cui questi atti, questi alterchi, queste contrapposizioni educative si verificano nella vita di un bambino e di un adolescente che cresce? E pensate chi archivia l’angoscia e lo sbigottimento di quell’insegnante.

Non credo che nessuno dei tre contendenti sia cresciuto da questa “esperienza”: docente, genitori e adolescente. Ha vinto solo la divisione. Sempre più profonda.

Poi ci chiediamo “come mai questi ragazzi non hanno più valori?”. Poi ci stupiamo quando leggiamo nelle statistiche che i ragazzi “esigono durezza e univocità nel punire le azioni non concesse” in uno di quei barlumi di lucidità che li contraddistinguono. Vogliono UNA via. Chiara e coerente.

Il vero problema è la frantumazione di quello che era bagaglio unico di quei valori e da non mettere mai in discussione in mille e frantumati “beauty case” alla bisogna di azioni estemporanee. Ciascuno per famiglia. A volte ancora più frantumato: mezzo “beauty case” a mamma e mezzo a papà, e poi si ci mette anche il nonno paterno e la nonna materna. E anche il fratello maggiore. E, se possibile, la vicina di casa.

C’è un paese in Europa dove hanno sentito il bisogno di scriverlo nella Costituzione: che la scuola rafforza e promuove, insieme alla conoscenza e alle competenze, il sistema di valori condiviso di quella nazione. Dovesse esserci nella nostra Costituzione, una tale indicazione, ci metteremmo le mani ai capelli. Perché quel sistema di valori condiviso non c’è più e con esso non ci sono più l’idea di comunità, l’idea di beni comuni, l’idea di Stato. C’è la famiglia. Certo. Ma non basta. C’è la Magistratura. Certo. Ma non basta. Perché piano piano Pierino cresce e falsificherà anche quelle.  Però c’è anche la Scuola, dico io. C’è quella Professoressa che il rimprovero aspro e duro di fronte al falso deve per forza di cose calibrarlo verso l’alto per supplire l’assenza quasi totale di rimproveri altrove.  Fa bene. Ma non basta.

Perchè può sbagliare anche lei. Può fare troppo. Come nel caso di quella che fece scrivere a Pierino cento volte “sono un deficiente” e là, sì, la condanna se l’è presa: due mesi tondi tondi con 20mila euro di danni da pagare. E allora ci si potrebbe arrendere e dire: sbrigatevela voi, ha ragione lei signora mamma, o ha ragione lei signora vicina di casa, che Pierino salti sul banco e si metta a ballare la quadriglia con Cetty, Sarah e Martina, se tale gesto libera la sua creatività. Ma non lo fanno, la maggior parte delle Professoresse non lo fanno e infatti oltre alle corde vocali (malattia professionale) si spappolano intestini e anche cervelli. Perchè ad ogni aspro rimprovero corrispondono una buona dose di “nervi” sedati e messi a dura prova.

Una, due, tre, quattro, migliaia, milioni di volte moltiplicati per anni e per Pierini. Che non crescono mai perchè si sostituiscono.  E in genere stanno là fuori dalla porta, come nell’immagine che ho scelto a corredo di questa nota, soli e carichi di dubbi. Perchè non capiscono noi e noi, così facendo, capiamo sempre meno loro, che vogliono solo chiarezza e coerenza. Oltre che affetto. E ogni anno è peggio.

Il vero problema è che a Pierino non serve avere una varietà di “beauty case” che gli mettiamo nello zaino già pesantissimo delle sue giornate da acchiappare alla bisogna. Ne serve solo uno, leggero e facile: che ritorniamo a metterci d’accordo. Sui fondamentali. Le firme non si falsificano. Punto. E così il resto.

Se davvero serve cambiar la Costituzione allora sì, dovrebbe inserirsi l’articolo sui valori condivisi. Che valgano, in blocco e sempre gli stessi, non solo tra i corridoi e i banchi delle scuole, dove il tempo si è fermato (spesso è un male, ma per la “questione valori” è un vivaddio) a cento anni fa, ma anche per la mamma, per il papà, per il nonno materno e la nonna paterna, per il fratello maggiore e financo per la vicina di casa.
 


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