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Perchè la cultura disturba i manager

Chiara Saraceno

28/08/2013
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la Repubblica

Nell’Italia dei paradossi ci siamo spesso sentiti dire, da datori di lavoro e ministri, che una delle cause della disoccupazione giovanile è il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, unita alla scarsa disponibilità per i lavori manuali. Le storie raccontate qui offrono un’altra prospettiva: pur di lavorare, molti giovani laureati sarebbero disposti anche a fare lavori ampiamente al di sotto delle proprie competenze. Ma per essere presi in considerazione devono nascondere di avere studiato. In un mercato del lavoro come quello italiano, ove la domanda di lavoro qualificato è contenuta e gran parte di proprietari e manager non ha la laurea, un lavoratore italiano sovraqualificato è un potenziale pericolo. Non tanto perché potrebbe andarsene presto (vista la propensione dei datori di lavoro per i contratti a termine e l’assenza di investimenti negli occupati con le mansioni più basse, questa sembra proprio una preoccupazione risibile).E neppure perché si tratterebbe di uno spreco sociale. Piuttosto, perché con le loro aspirazioni e la loro cultura potrebbero creare disturbo in organizzazioni del lavoro e sistemi produttivi incapaci di innovare e immobili.
In altri termini, la disoccupazione e sotto-occupazione dei laureati in Italia è dovuta alla scarsità della domanda in un sistema produttivo e amministrativo che — anche nel settore pubblico ed anche ai livelli medio alti del management — è largamente controllato da persone con livelli di istruzione medio-bassa, poco capaci di valorizzare e investire nel capitale umano. Ne vediamo i risultati sul piano della scarsa efficienza della nostra pubblica amministrazione e nella ridotta competitività di larga parte delle nostre aziende.
La scoraggiante esperienza dei laureati che, per lavorare, devono presentare un profilo più dimesso, meno qualificato, tuttavia, non deve indurre a generalizzazioni. In primo luogo, è una esperienza che, non solo da oggi, riguarda più le donne degli uomini, in base all’idea, condivisa da molti datori di lavoro, che le donne vadano tenute ai gradini più bassi della scala occupazionale. In secondo luogo, riguarda più alcune lauree — giuridiche, psicologiche, letterarie e geo-biologiche — di altre. Si tratta, per altro, di quelle più femminilizzate. In questo caso si può parlare di forme di mismatch, non rispetto ai lavori poco qualificati, ma a quelli qualificati richiesti dal mercato. Anche se la sotto-occupazione dei geologi e dei biologi in un Paese in cui ogni pioggia minaccia un disastro ecologico e in cui ci sono elevati rischi di inquinamento ambientale interroga più la domanda che non l’offerta di lavoro. Interroga più in generale l’insipienza di un Paese che spreca le proprie risorse vivendo
alla giornata senza alcuna preoccupazione per il futuro. Analogamente, lo stato di abbandono e sotto-valorizzazione in cui si trovano i beni culturali suggerisce che ci saranno, forse, troppi laureati in lettere, ma ci sarebbe bisogno di un’iniezione di professionisti di vario tipo per la manutenzione e la valorizzazione del patrimonio artistico. Infine, nonostante dal 2008 il vantaggio si sia ridotto sensibilmente, i laureati continuano a trovare più facilmente lavoro — anche se non sempre aderente alla loro preparazione — dei non laureati e a guadagnare di più nel mediolungo periodo. In altri termini, sono svantaggiati nel mercato del lavoro poco qualificato, dove devono nascondere di avere una laurea. Ma continuano a godere di vantaggi nel mercato del lavoro nel suo complesso, per quanto questo sia asfittico, non molto qualificato e premi più i titoli formali che non le competenze ed esperienze specifiche.
È certo umiliante dover nascondere di aver studiato per poter fare un lavoro che non richiede qualifiche. Mi sembra tuttavia più scoraggiante doversi adattare a fare lavori poco qualificati nonostante anni di impegno nello studio. Non si tratta di essere choosy, ma di non sprecare risorse individuali, e anche collettive. Tanto più che in Italia, Paese in cui l’origine tende anche a diventare un destino, avere un curriculum professionale non standard, non “coerente”, non è considerato un possibile vantaggio, il segno di capacità di iniziativa, di ricerca di autonomia, di voglia di apprendimento extracurriculare. Al contrario, dopo aver dovuto nascondere di avere una laurea per essere assunto come operaio o addetto ad un call center, ci si può trovare nella necessità di dover nascondere di aver fatto questi lavori per poter essere presi in considerazione per un lavoro “da laureato”.


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