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Messaggero-UNA CLASSIFICA TRUCCATA

UNA CLASSIFICA TRUCCATA di LUCIANO RUSSI PIÙ che una conferma, la classifica del Times Higher Education Supplement è una notizia scontata. La sorpresa sarebbe stata invece se ...

09/12/2004
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Il Messaggero

UNA CLASSIFICA TRUCCATA
di LUCIANO RUSSI
PIÙ che una conferma, la classifica del Times Higher Education Supplement è una notizia scontata. La sorpresa sarebbe stata invece se a stilare la classifica avesse coraggiosamente provveduto qualcuna tra le sigle che da qualche tempo in Italia provvedono a fotografare lo stato della ricerca (ad esempio il Civr presieduto da Franco Cuccurullo) o delle università (Cnso presieduto da Luigi Biggeri). La classifica elaborata dal Times va infatti inquadrata nella tradizione dei centri anglosassoni di ricerca e degli istituti statunitensi di sondaggio che all'inizio o alla fine dell'anno accademico amano sfornare quella che chiamano una fotografia mondiale degli atenei.
Fotografia è termine improprio. Lungi dall'essere una rappresentazione asettica di realtà o un elenco anodino di situazioni universitarie, essa è invece sempre una vera e propria graduatoria con relativi allori, eccellenze, retroguadie e maglie nere.
Immancabilmente l'Europa continentale e l'Italia in particolare (dove pure le università sono nate, si sono sviluppate e da dove hanno diffuso il loro modello di saperi) in queste graduatorie occupano salvo qualche rarissima eccezione gli ultimi posti. Quando addirittura non sono neppure classificate.
Immancabilmente, gli europei continentali e gli italiani in particolare (pure abituati a discutere tutto e a verificare ogni affermazione) si fasciano la testa e rilanciano in modo acritico e subalterno la necessità di adeguarsi al modello americano.
Ora non si tratta di schierarsi o meno a favore di un modello o di convincersi di una classifica che va presa per quella che è. Soprattutto se i punteggi non sono stati condivisi prima. Ciò che invece rileva di ogni classifica che per sua natura è opinabile e controversa, è la sua base metodologica. Ciò che interessa è in altri termini l'iter seguito per la sua definizione. Nel nostro caso si tratta di condividere o meno gli indicatori usati perché è l'insieme degli indicatori scelti che determina sempre la graduatoria. Il Times Higher Education Supplement ne ha privilegiati cinque: peer review, internazionalizzazione, citazioni, rapporto docente-studenti, appeal della sede.
Perché questi o soltanto questi? Perché non anche altri o altri diversi? Certo, il fatto che gli americani hanno puntato sulla scelta della specializzazione, dei servizi agli studenti, dello sviluppo tecnologico, dei finanziamenti privati alla ricerca non può non comportare ogni volta riconoscimenti di eccellenza. Ma perché non valutare anche o invece la formazione critica, l'unità del sapere (universitas studiorum), l' ésprit de finesse , la creatività dei curricula, i bassi standard delle tasse pagate, la mobilità studentesca, la creatività sociale e territoriale delle università?
Sì, è vero, se si scelgono i criteri del Times Higher Education Supplement , sette università su dieci saranno sempre americane. E le settantasette università italiane, magari non conosciute dai compilatori della classifica che magari hanno cercato di fotografare solo le mega-università senza sapere che queste ultime svolgono anche un ruolo di volano sociale, saranno sempre maglie nere della classifica. Ma occuperebbero le stesse posizioni se gli indicatori fossero quelli appena citati? Perché non proviamo a redigere anche noi una volta tanto una classifica dal punto di vista di chi ha un'idea dell'università diversa da quella figurata dal Times Higher Education Supplement ?
*Rettore Università

degli Studi di Teramo


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