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Messaggero: L’Italia dei giovani “fuori da tutto” mentre l’industria reclama tecnici

Un ragazzo su 4 non studia né lavora né è inserito in percorsi formativi

12/12/2009
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Il Messaggero

di ANNA MARIA SERSALE

ROMA - L’Italia? E’ il fanalino di coda. Nel confronto con altri otto Paesi avanzati siamo «ultimi» nella «efficienza del sistema educativo». In testa ci sono Svizzera e Stati Uniti. Seguono, nell’ordine, Svezia, Gran Bretagna, Francia, Giappone, Germania e Spagna. Siamo ultimi anche in innovazione nel confronto tra diciassette Paesi industrializzati. Su questo terreno ci batte perfino la Corea, che si piazza cinque posti prima di noi. E’ la prova, se mai ce ne fosse bisogno, che il nostro sistema fa acqua da tutte le parti. La demagogica sostituzione del diritto allo studio con il ”diritto” alla promozione ci ha fatto precipitare nel baratro. Ma i guasti del sistema educativo inesorabilmente provocano una catena di ulteriori guasti.
Da noi ci sono troppi giovani neet (not in education, employment, training). Si tratta di ragazzi che non sono nè occuati, nè studenti, nè inseriti in un circuito di formazione. Quanti sono i giovani fuori da tutto? Il 23,6% del totale, un dato da brivido. Chi sono? Molti hanno rifiutato la scuola, ora rifiutano lavori considerati ”sgradevoli”. Tra questi anche mestieri legati al settore tecnico. L’Italia ne ha la quota più alta in ambito Ocse e dal 2002 sono in progressivo aumento. Significa che un ragazzo su quattro staziona sul muretto sotto casa, privo di quel minimo bagaglio di conoscenze perchè una persona sia anche un cittadino.
I dati sono contenuti in un dossier della Confindustria, fatto in collaborazione con l’università Luiss in occasione dell’inaugurazione del Centro Studi sull’economia della formazione e delle professioni. Inoltre, dal confronto tra i 15enni italiani e tedeschi (il confronto nasce dal fatto che la Germania ha uno dei sistemi scolastici più simili al nostro) si scopre che i nostri sono peggiorati in tutte le discipline, in particolare in lettura, matematica e scienze. D’altra parte pochi giorni fa abbiamo raccontato che l’Europa boccia la scuola italiana perchè il 50% dei nostri quindicenni non capisce un brano di lettura. Noi stiamo peggio, eppure in Germania con una popolazione studentesca di circa tre milioni di ragazzi in più, il numero di docenti è sostanzialmente uguale al nostro.
Ma le emergenze nazionali non finiscono qui. Abbiamo pochi diplomati e laureati nei percorsi tecnico-scientifici, una carenza che è andata aggravandosi nell’ultimo decennio e che frena l’espansione. «Un paese come l’Italia - sostiene la Confindustria - ha bisogno di tecnici per produrre, considerata la nostra vocazione manifatturiera. Però, mentre l’industria italiana superava la Germania nella percentuale di tecnici assunti nelle industrie, noi 22 e la Germania 21%, la scuola italiana dimezzava i tecnici che uscivano dalle scuole e i licei superavano per numero di iscritti gli istituti tecnici e professionali». C’è un difetto di orientamento. Attualmente sono 76mila i posti scoperti per mancanza di figure qualificate. Persiste, infatti, il gap tra domanda di figure tecnico-scientifiche e offerta di neodiplomati. «Nel 2009 le imprese avevano previsto di assumere 221mila diplomati, di cui 214mila tecnici - sostengono gli esperti che hanno redatto lo studio Luiss-Confindustria - Nell’anno scolastico 2007/2008, però, i ragazzi che hanno conseguito un diploma tecnico sono stati 137.718. Una distanza incolmabile».
Ma qualche segnale di miglioramento c’è. «Nel 2008-2009 - osserva ancora la Confindustria - per la prima volta dopo diciassette anni si registra un’inversione di tendenza, con una ripresa delle iscrizioni nei tecnici che devono tornare a essere la spina dorsale della crescita industriale». Un altro segnale positivo riguarda l’università: dopo il crollo del ‘94, per la prima volta nell’anno accademico 2008-2009 sono aumentati gli immatricolati in alcuni corsi scientifici.


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