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Manifesto: Ds, finanziaria da correggere

Mussi minaccia le dimissioni: «Non sarò io il ministro dei tagli all'università». Fassino: «Ridurre le tasse dal 2008». Atenei allo sciopero generale

22/10/2006
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il manifesto

Roma
«Non sarò io il ministro dei tagli all'università. Si sta alzando un'onda ripida di delusione nel mondo della scuola e della ricerca dove altissime erano le aspettative. Attenti perché se si delude qui le conseguenze possono essere pesanti». Dal palco della direzione del suo partito Fabio Mussi getta sul tavolo della discussione sulla finanziaria l'ombra pesantissima delle sue dimissioni. Il tramonto degli obiettivi di Lisbona (il 3% del pil investito nella conoscenza) adombrato nei tagli all'università previsti dal decreto Bersani (40 per gli enti di ricerca e ben 200 per gli atenei), previsto nel Dpef e certificato nell'attuale manovra finanziaria è un argomento troppo serio perché sia visto solo in termini contabili.
Dati alla mano però il governo dell'Unione ha disatteso completamente le promesse fatte in campagna elettorale a un mondo assai variegato ma che comunque si è posto in solida contrapposizione alle spinte controriformatrici dell'allora ministra Moratti. Dopo cinque anni di lotte e qualche speranza la risposta del governo è fin qui fallimentare: 240 milioni di tagli in estate, il fondo di finanziamento ordinario per gli enti di ricerca in linea con quello del centrodestra (1,6 miliardi di euro) e dunque contratto dall'inflazione e quello per gli atenei addirittura ridotto di 94 milioni.
Ben diverso anche qui, fa notare la Flc-Cgil, l'investimento sulle imprese: 2 miliardi di euro destinati all'innovazione nel 2007-2009 e un aumento di 300 milioni di euro per la ricerca industriale o applicata (First). Scintillano lacune vistose, come l'abolizione del 5 per mille alla ricerca e il destino del dimenticato Enea, o drammatiche, basti pensare che il problema del precariato negli enti di ricerca è risolto con 50 (cinquanta!) assunzioni. Mussi chiede almeno la restituzione del maltolto a luglio sui consumi intermedi (acqua, luce, etc.) e preferisce lanciare un allarme politico alla maggioranza: «La missione della nostra coalizione - sostiene il ministro della Quercia - è quella di una politica volta a creare lavoro buono, portare giustizia sociale e innovazione, scienza, cultura, ricerca». A sostenere l'allarme del ministro accorrono subito solo Prc e Cgil, mentre le perplessità del correntone e della sinistra di Salvi, alla fine, sono accolte nell'ordine del giorno complessivo dei Ds piuttosto critico anche verso i tagli al comparto sicurezza. Un documento che chiede di correggere la rimodulazione dell'Irpef centrata sulla detrazioni, interventi per chi non fa la denuncia dei redditi, più soldi per la scuola e il taglio ai «costi impropri» della politica.
Piero Fassino nella sua relazione però guarda soprattutto avanti, fin quasi a sconfessare la riforma Visco dell'Irpef: «Dobbiamo essere capaci - dice il segretario - di sostenere la crescita e riqualificare la spesa pubblica, perché allo sforzo fiscale di quest'anno corrisponda già fin dal 2008 una riduzione della pressione fiscale e della tassazione. Serve uno scatto di consapevolezza e di coesione della maggioranza», perché la «priorità» è quella di «non deludere una domanda di affidabilità, stabilità e certezze che viene dai cittadini». Anche Massimo D'Alema nel suo intervento dal palco invoca «un rilancio del progetto riformista in grado di coinvolgere le grandi forze sociali e il movimento sindacale in scelte coraggiose che vadano oltre la tutela dei legittimi interessi». Il che significa per il presidente Ds «prospettare nei prossimi mesi un'operazione in grado di parlare alle forze produttive, al mondo dell'impresa, alle nuove generazioni che faccia perno su un patto della produttività e una coraggiosa riforma dell'amministrazione pubblica». Dalle parole dei leader della Quercia insomma vengono segnali di forte attenzione verso alcune posizioni che vengono dai settori confindustriali e dalla (politicizzatissima) grande stampa italiana. Sintetizza D'Alema: «Non siamo riusciti a ricreare quel clima del '96-'98 che rendesse evidente la posta in gioco, che è oggi come allora quella di non perdere i contatti con l'Europa ed evitare un avvitamento della crisi italiana». Da questa analisi autoassolutoria manca però proprio tutto ciò che è accaduto dal '98 in poi: la caduta di Prodi ha innescato una gara tutta «riformista» prima con l'arrivo di D'Alema, sconfitto alle regionali e sostituito da Amato che ha passato il testimone a Rutelli. Risultato: vittoria nel 2001 del Cavaliere e della sua «strana» cultura populista e liberista.
Del malumore della sua coalizione e dei ricorsi storici però Romano Prodi non si cura: «La finanziaria - dice al Tg3 in serata - è giusta e seria», mantiene «gli impegni presi» e rispondendo a Montezemolo dice che «se classismo vuol dire introdurre un po' di giustizia sociale, ebbene, è anche classista». Troppo poco, finora, per accontentare sia l'ala sinistra dell'Unione che i centristi scatenati e gli imprenditori insaziabili. E il 17 novembre c'è lo sciopero generale delle università e della ricerca.


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