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"Ma se la fedeltà conta più della competenza nella scienza si fanno pasticci"

Intervista a Alberto Mantovani

08/01/2019
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la Repubblica

Luca Fraioli

«L’indipendenza della scienza è un bene prezioso. E non per i ricercatori, ma per la democrazia, per il Paese e soprattutto per i suoi cittadini». Alberto Mantovani, immunologo e direttore dell’Humanitas di Rozzano, è lo scienziato italiano con il maggior numero di citazioni sulle riviste internazionali. E non esita a stigmatizzare le interferenze dell’attuale governo sulla ricerca.

«Io sono turbato. E nella nostra comunità c’è un grande disagio».

Professor Mantovani, cosa pensa della schedatura politica dei membri del Consiglio superiore di sanità voluta dalla ministra Grillo?

«Ripeto: l’indipendenza della scienza è un bene prezioso. E non posso non riferirmi al lavoro fatto dal Css. Per esempio, il documento poi ribattezzato "calendario vaccinale" licenziato dal Consiglio è all’onor del mondo: contiene tutti gli elementi tecnici per consentire scelte politiche. Nel Css c’erano persone di grande competenza, per le quali ci vorrebbe un po’ di gratitudine, visto che hanno lavorato per la collettività senza guadagnare un euro . Esiste la libertà del decisore politico di identificare i tecnici in cui ha fiducia. Ma prima della fedeltà politica vengono la competenza e l’autorevolezza, perché sennò si fanno grandi pasticci».

A cosa può portare il deterioramento del rapporto politica-scienza?

«Rispondo ricordando due vicende che ho approfondito lo scorso ottobre a Mosca. Il caso Lisenko negli anni Trenta: sulla base di un principio politico si decise che non esisteva la genetica. Una scelta che ha ucciso la scienza biomedica dell’Unione Sovietica. Più di recente c’è stato un grandissimo oncologo immunologo russo, Igor Abelev, il primo a identificare un marcatore immunologico tumorale che usiamo ancora oggi. Ma aveva la colpa di essere un dissidente: non potè viaggiare e partecipare ai congressi. E questo ha danneggiato la scienza, la medicina, il suo Paese e in fin dei conti i pazienti».

Dunque il governo italiano si comporta nei confronti della scienza come il regime sovietico?

«Non voglio far confronti, non staremmo qui a fare questa intervista se la situazione fosse paragonabile. Ma è bene sapere che si corrono rischi quando si mette in dubbio l’indipendenza del parere dei tecnici».

E gli scienziati non hanno colpe per quanto sta accadendo?

«Chi fa scienza ha il dovere della trasparenza e della responsabilità.

Essere indipendenti non significa poter fare ciò che si vuole. Basti pensare al recente caso dello scienziato cinese che dice di aver modificato geneticamente due bambine, una cosa obbrobriosa.

L’autonomia non è il Far West».

Ha ricordato l’Urss e la Cina.

Qual è invece un modello da imitare?

«Continuo a pensare che il mondo anglosassone, pur imperfetto, resti quello che funziona meglio».

In Italia abbiamo assistito al licenziamento del presidente dell’Asi Battiston, alle dimissioni del presidente dell’Istituto superiore di sanità Ricciardi, all’addio della commissione Miur (di cui faceva parte Fabiola Gianotti) per la nomina dei vertici negli enti di ricerca, persino alla proposta di un comitato per la divulgazione scientifica in Rai…

«Sono turbato alla sola idea che si possa scegliere cosa divulgare e cosa no. Quanto agli scienziati citati non posso che esprimere loro la mia stima. Ho lavorato con la Gianotti, con Ricciardi ho condiviso la stessa visione di salute pubblica. Questi episodi creano grande disagio nella comunità scientifica, non c’è il minimo dubbio. Mi auguro, per il Paese, che ora vengano scelte persone solo per la loro competenza».

Non sarà che questi episodi tradiscono una perdita di cultura scientifica da parte degli italiani e non solo di chi in questo momento li rappresenta al governo?

«Condivido totalmente, ma senza voler buttare la croce addosso alle persone che non sanno di scienza. È un dato di fatto: in Italia c’è una diffusa incultura scientifica»

Cosa si può fare?

«Ci si può lamentare. Oppure agire.

Una fondazione italiana, per esempio, finanzia la ricerca a patto che il team finanziato si impegni a fare divulgazione di base in scuole e quartieri. Come scienziati abbiamo il dovere di fare la nostra parte per un Paese scientificamente analfabeta. Io, finita questa intervista, andrò a parlare a un pubblico generalista».

Di cosa parlerà professore?

«Sistema immunitario, cancro e naturalmente vaccini. Spiegherò che sono una conquista della civiltà, una assicurazione sulla vita per l’umanità, una cintura di sicurezza per i miei otto nipoti ma anche per i bambini con leucemia che quella cintura non se la possono allacciare».


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