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Liberazione: Stiamo degenerando, fermiamoci in tempo

Chiara Acciarini

23/12/2007
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Liberazione

Polonia, 1943: cappelletto calato sulla testa, occhi increduli e spaventati, su di lui i fucili puntati dei soldati nazisti. Un ebreo. Un bambino ebreo. Vietnam, 1969: un corpo quasi nudo, esile e teso in uno spasmo di terrore, intorno un villaggio distrutto, perquisito, raso al suolo. Una vietnamita. Un bambina vietnamita.
Sono sempre i bambini, l'immagine indimenticabile e puntualmente dimenticata dell'orrore, della stolidità sinistra del razzismo. Perché i bambini presi di mira, perseguitati, ingiuriati sono il picco di ogni nuova ondata di ferocia e insieme sono la spia di quanto profonde siano le correnti che quelle onde producono.
C'è sempre un motivo nuovo di zecca per giustificare la scelta di ripercorrere i sentieri antichi che tutti avevamo giurato di sbarrare una volta per sempre. L'ultimo, da noi, in Italia, è la sicurezza, e qualche volta basta anche qualcosa in meno. Il decoro urbano. Il fastidio di chi esige il diritto di non incrociare la povertà sul suo cammino.
Roma, 2007: Gianni e Milva, sradicati dalle loro - seppur fatiscenti - case e costretti a vivere al freddo di Ponte Mammolo. Due rom. Due bambini rom. La società ha deciso: anche parte della loro vita verrà cambiata a causa dell'efferato omicidio avvenuto a Roma in una sera di novembre. A commetterlo è stato un rom, dunque tutti i rom vanno perseguiti e perseguitati. Anche quelli che non hanno ancora dieci anni. Sempre di quella gente lì, si tratta.
Gianni e Milva andavano a scuola. Ora i loro zaini sono vuoti e le pagine dei loro quaderni destinate a rimanere bianche. Rappresentavano un pericolo, una minaccia per la sicurezza. Un'emergenza.
Ce ne sarebbero altre di emergenze, per la verità. In questo paese sono centinaia di migliaia i bambini tra i dodici e i quattordici anni che lavorano. Si parla, giova ripeterlo, dell'Italia degli anni 2000, non dell'Inghilterra di Charles Dickens. Non è una minaccia per la sicurezza, forse neppure per il decoro urbano. Per la civiltà certamente sì, e meriterebbe ben più che un decreto.
Milano, 2007. I figli di immigrati privi o in attesa di permesso di soggiorno non potranno frequentare la scuola dell'infanzia, parte integrante anche se non obbligatoria del nostro sistema di istruzione. Lo ha stabilito il sindaco, Letizia Moratti, e si può scommettere che parecchi primi cittadini plaudiranno e magari si affretteranno a seguire l'esempio.
Fermiamoci, fermiamoci tutti perché non c'è solo questo in Italia. Questo paese vanta ancora gli anticorpi necessari per impedire che la situazione degeneri, e per tornare indietro. Abbiamo condiviso principi ed ideali. Richiamiamoci a quelli. Tutti insieme. Gianni e Milva non resteranno all'addiaccio, troveremo loro una casa. Ma limitare il danno, intervenire per impedire il peggio non è sufficiente. C'è un'intera cultura che va dilagando e che va bloccata sino a che siamo in tempo. Fermiamoci.
Sottosegretaria alle Politiche per la famiglia


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