La Stampa: Stipendi ridotti ai prof. fannulloni
Decreto Gelmini sull’università. Le novità in arrivo
RAFFAELLO MASCI
ROMA
Stipendio ridotto e carriera bloccata ai professori universitari che non abbiano fatto pubblicazioni scientifiche negli ultimi tre anni. C’è una svolta di severità nel decreto Gelmini sull’università, che la commissione Istruzione del Senato dovrebbe varare stamattina. A produrre meglio e di più - è il senso del provvedimento - sono chiamate non solo le singole università nel loro insieme, ma anche i singoli docenti e ricercatori. Altrimenti niente soldi.
Questa normativa «rigorista» e «antibaronale» è contenuta in un pacchetto di tre emendamenti, presentati dal relatore Giuseppe Valditara e - stando alle indicazioni della vigilia - largamente condivisi sia dal governo che dalla maggioranza.
Un primo emendamento stabilisce che il rettore deve presentare annualmente una relazione sull’attività non solo di ricerca e di formazione, ma anche di «trasferimento tecnologico»: cioè deve spiegare quanto le ricerche condotte dal suo ateneo hanno prodotto innovazione e quindi competitività per il sistema. Se questa relazione non ci dovesse essere, ci sarà un taglio sui trasferimenti statali.
Secondo emendamento. Deve essere allestita un’«anagrafe nazionale» dei docenti e dei ricercatori, aggiornata annualmente, nella quale si dice per ciascun soggetto quali ricerche e quali pubblicazioni ha fatto.
Terzo punto, il più controverso. A partire dal 2011, gli scatti biennali di stipendio previsti per tutti i docenti, saranno subordinati alle pubblicazioni scientifiche effettuate. E chi non avesse fatto nulla? Vedrà l’aumento dimezzato. Non solo: non potrà neppure partecipare alla ripartizione dei fondi Prin (cioè quelli riservati ai più importanti progetti nazionali di ricerca) e non potrà far parte delle commissioni per i concorsi.
Insomma, un giro di vite netto che ha seminato un certo scompiglio nel mondo accademico. «La scelta del senatore Valditara mi trova perfettamente d’accordo - commenta Vincenzo Milanesi, rettore dell’università di Padova, una di quelle con i bilanci più in ordine - in quanto sono d’accordo sull’introduzione di criteri rigorosi di valutazione e sulla meritocrazia. Aggiungerei addirittura un elemento in più: non basta aver fatto delle pubblicazioni, occorre averne fatte di qualità. La norma, dunque, deve definire anche gli standard minimi».
I conti in ordine ce l’ha anche Tor Vergata, la seconda università di Roma, ma il neorettore Renato Lauro è meno entusiasta del suo collega padovano: «Sono pienamente d’accordo sulla valutazione come criterio per la ripartizione dei fondi. Sarei invece molto più cauto sui singoli docenti e ricercatori, i cui comportamenti professionali non dipendono solo dalla loro iniziativa. Persone di talento si possono trovare a lavorare in un contesto non favorevole che impedisce loro di fare pubblicazioni scientifiche. Senza dire che ci sono, poi, i casi personali: abbiamo, per dire, studiosi di 55 anni, frustrati perché rimasti ricercatori, il più delle volte non per colpa loro. Che vogliamo fare? Li mettiamo su una strada dall’oggi al domani?».
Il professor Lauro, dunque, tocca il problema delle tutele dei docenti e dei ricercatori come lavoratori. «Una questione annosa e drammatica - ammette Domenico Pantaleo, segretario della Flc Cgil, il maggior sindacato dell’università -, i docenti universitari meritano protezioni e non minacce. Bisogna ricordare che questi dipendenti dello Stato non hanno un contratto collettivo e che quindi sono più esposti di altri a pressioni e ripicche, come quelle ventilate. E questa svolta autoritaria che si vuole imprimere è del tutto inaccettabile