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La Stampa: Più selezione e aumenti solo ai migliori

Adolfo Scotto di Luzio, curatore della ricerca

16/01/2010
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La Stampa

RAFFAELLO MASCI

Italia Futura è una fondazione presieduta da Luca di Montezemolo che si propone di «promuovere il dibattito civile e politico sul futuro del Paese». Non si tratta di un centro studi nel senso tradizionale, perché, al di là dei fenomeni e dei problemi, si punta a offrire anche possibili soluzioni da sottoporre all’attenzione della politica. Così, ogni quattro mesi, verrà proposto un focus - curato da uno specialista - su un tema differente ma sempre connesso con il futuro del Paese: a marzo il focus sarà sulla Sanità e prima dell’estate si affronterà la green economy. Informazioni, contatti e adesioni sul sito: www.italiafutura.it.Adolfo Scotto di Luzio, insegna storia della scuola nell'Università di Bergamo ed è il ricercatore che ha curato il focus «Maestri d'Italia» per conto della Fondazione Italia Futura.
Professore, perché vi siete concentrati sui maestri anziché parlare - più in generale - della scuola?
«Perché parlare di scuola in Italia vuol dire sempre parlare delle riforme. Prima ancora di essere un fatto concreto, le riforme in Italia sono una retorica. Nella scuola questa retorica ha prodotto molti guasti. Invece che di riforme, dunque, abbiamo deciso di parlare degli insegnanti, cominciando proprio dai maestri, perché a loro è affidato il primo e più delicato segmento dell'istruzione in Italia».
Perché rifugge dall'idea di parlare delle riforme?
«È bene essere chiari: abbiamo alle nostre spalle un decennio di riforme della scuola a ciclo continuo. I risultati sono francamente scadenti. Alla fine di questo decennio le condizioni della scuola sono decisamente peggiori di prima. Da questa stagione pseudoriformista la scuola è uscita esausta. E, calata la polvere delle riforme, ci si rivela un quadro drammatico degli apprendimenti degli studenti».
A che cosa si riferisce?
«Sono noti i risultati delle indagini internazionali. Prendiamo le materie più importanti nella scuola di base: l'italiano e la matematica. Al riguardo queste indagini ci dicono due cose: primo, che nel leggere e nel capire quello che si legge oltre che nel far di conto, gli studenti italiani sono ai posti più bassi delle graduatorie internazionali. Secondo, che queste posizioni, già scadenti, peggiorano, se possibile, negli ultimi anni. Un colpo gravissimo, che spiega questo peggioramento è stata l'abolizione dei programmi nazionali di studio e la loro sostituzione con delle generiche indicazioni nazionali».
Come se ne viene fuori?
«Noi abbiamo individuato due possibili soluzioni. La prima è quella di puntare moltissimo sulla formazione degli insegnanti: un curriculum universitario che dia loro basi solide nelle materie che dovranno insegnare (esempio: quanti sono oggi i docenti di matematica che provengono da una laurea in matematica? Pochissimi). Curare, sempre a livello universitario, la loro formazione professionale come docenti. Riformare il reclutamento, evitando che l'unica strada di accesso alla scuola sia, come è stato negli ultimi anni, il riassorbimento del precariato senza nessuna selezione. Ultimo: dare loro più soldi, perché la scuola possa attrarre i migliori talenti, ma - importantissimo - accettare anche il taglio di tanti sprechi. Chi si occupa di queste cose sa che l' Italia spende per la scuola quanto e forse più di altri Paesi avanzati. Il problema non è la quantità della spesa, ma la sua qualità. Il 97% delle risorse se ne va per pagare gli stipendi. Quello che avanza serve per tutto il resto. Che cosa è possibile fare con una simile distribuzione delle risorse?».
E la seconda soluzione?
«Governare l'autonomia. Quindi: i dirigenti scolastici. Vanno formati alla gestione delle istituzioni scolastiche, ma va salvaguardato il principio della direzione educativa. I dirigenti non possono occuparsi soltanto di amministrare, devono poter esercitare una efficace leadership educativa. Il rischio dell'autonomia è la frantumazione».
Può spiegare?
«I dirigenti devono diventare i garanti dell'unità del sistema scolastico. Per farlo devono essere reclutati su base nazionale e non più come è accaduto negli ultimi anni attraverso concorsi locali. Un dirigente reclutato localmente è più debole verso le camarille locali, burocratiche e sindacali. Al contrario il dirigente deve tutelare gli interessi unitari dell'istituzione scolastica contro le pressioni degli interessi locali. Infine: che questi dirigenti restino nella sede loro assegnata per almeno cinque anni, altrimenti il turn-over troppo accelerato si trasformerebbe per la scuola in uno stress nello stress».


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