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La Stampa: L'integrazione da noi funziona"

Torino, l’allarme di una preside di periferia “Senza allievi immigrati io devo chiudere”

09/01/2010
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La Stampa

Maria Teresa Martinengo
TORINO

L’uscita dei bambini dalla scuola «Gabelli», a Torino, racconta una storia già vista nei decenni passati: che la vecchia Barriera di Milano ha affitti accessibili agli ultimi arrivati, gli immigrati, quarant’anni fa italiani del Sud e oggi stranieri.
Nel giorno in cui il ministro Gelmini ha confermato la scelta di mettere il tetto del 30% alla presenza di stranieri nelle scuole, qui ad aspettare sotto la pioggia ci sono mamme arabe dai capelli nascosti in foulard neri, mamme cinesi in minigonna e stivali, africane con cascate di treccine che piovono sulla schiena. «Quarant’anni fa c’erano le mamme siciliane e pugliesi appena arrivate - tanti figli e altri problemi linguistici - e la “Gabelli” era la stessa scuola accogliente», commenta nel corridoio la dirigente Nunzia Del Vento. «Solo che allora invece della percentuale, per i figli degli immigrati che parlavano in dialetto e avevano genitori analfabeti, le maestre avevano uno strumento forte, il tempo pieno, la scuola mattino e pomeriggio, quella che oggi viene eliminata».
Ma l’uscita da scuola dice anche che forse Torino è un po’ più avanti di quanto pensino a Roma. I bambini marocchini, romeni, nigeriani, cinesi salutano le mamme in italiano, strillano «andiamo in cartoleria perché ho bisogno di matite», «hai portato la merenda?» e così via. E le mamme, qui almeno, rispondono nella stessa lingua.
«In questa scuola abbiamo ormai il 65-70% di alunni di origine straniera - dice Nunzia Del Vento - ma di questi il 90% è nato a Torino oppure è arrivato a 3-4 anni. Quando si iscrivono da noi questi bambini hanno almeno frequentato la materna a Torino, molti sono stati al nido». È a questo punto che la dirigente, una storia lunghissima di insegnamento in Barriera, sbotta davanti a tre maestre che la guardano in un silenzio da funerale: «Mi devono dire come si calcola quel 30%. Chi devo considerare straniero? Devo fare un esame di ammissione? Poi, se qui intorno la popolazione residente è straniera, mi dicano con quale criterio io devo smettere di prendere le iscrizioni».
Già, il problema arriva in queste settimane. «Parliamo di scuola dell’obbligo e io devo poter dire alle famiglie che qui non le posso prendere, ma che un’altra scuola le prenderà. Ma quale? Dove? E poi, io dovrei ricevere altri bambini da altre parti della città perché altrimenti, visto che il quartiere è abitato da immigrati, nel giro di due o tre anni chiudo. Ma chiudere una scuola è perdere una ricchezza».
Veronica Vennettilli, laureata, titolare di un’impresa artigiana, marito architetto, è presidente del consiglio d’istituto della «Gabelli». Ha sentito il ministro Gelmini in tivù ed è un fiume in piena. «Mia figlia Teresa è in quarta elementare, mentre la più grande, Lavinia, è in prima media nel quartiere dove dovremo trasferirci, un contesto molto diverso dalla Barriera. Sto sperimentando che ha avuto una preparazione ottima, migliore di certi suoi compagni che di stranieri in classe ne hanno avuto uno solo».
Una preparazione che, per una mamma italiana attrezzata per poter giudicare, è stata «non solo ottima dal punto di vista didattico ma ricca di stimoli, di educazione alla tolleranza, alla comprensione di culture e abitudini diverse».


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