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La Stampa: Il sensazionalismo uccide la scienza

Dopo gli allarmi per il cancro, una ricerca rivela che le onde dei telefonini formerebbero una barriera contro l’insorgere dell’Alzheimer. Uno dei molti segnali contraddittori che arrivano dalle più autorevoli riviste internazionali. Ma quanto possiamo fidarci?

09/01/2010
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La Stampa

Eugenia Tognotti
Il «contrordine» è di quelli che lasciano il segno e fanno riflettere su ciò che filtra dal ricchissimo flusso informativo del mondo della scienza e sul modo di comunicare le notizie di conquiste e scoperte - talora in netto contrasto - e le ipotesi non confermate dei ricercatori, capaci di confondere l'opinione pubblica. L'ultima, in ordine di tempo, riguarda un simbolo della modernità di cui non possiamo più fare a meno: i cellulari.
Gravati dal sospetto di causare tunori al cervello - rinvigorito, di quando in quando, da nuovi studi - i nostri amati telefonini potrebbero essere riabilitati. Stando ai clamorosi risultati di uno studio appena pubblicato sulla rivista «Journal of Alzheimer's Disease», proteggerebbero nientemeno che dall'Alzheimer, la tremenda malattia che ruba i ricordi e imprigiona i malati in una solitaria e dolorosa smemoratezza. Non solo. Sarebbero anche capaci di far regredire i segni tipici del morbo nel tessuto cerebrale, cioè le placche amiloidi.
Insomma, gli effetti dell'esposizione dei topi alle onde elettromagnetiche - corrispondenti negli esseri umani a un cellulare incollato all’orecchio per diverse ore al giorno e per molti anni - sarebbero stati positivi. Almeno per l'Alzheimer. Naturalmente, per i non addetti ai lavori, avidi di notizie sui progressi nella conoscenza delle grandi malattie del nostro tempo, restano accese le innumerevoli spie rosse sui presunti danni alla salute prodotti da cellulari e computer. Il campionario dei campanelli d'allarme comprende: le emissioni di radiazioni, la riduzione della fertilità per gli uomini che hanno l'abitudine di portare il telefonino in tasca o attaccato alla cintura dei pantaloni e, ancora, la possibilità che l'uso troppo frequente danneggi i delicati meccanismi che nel cervello presiedono all'apprendimento, alla memoria e al movimento. E, inoltre, i gravi rischi alla salute dovuti alle alterazioni delle funzioni di rigenerazione del sangue e il pericolo di tumori benigni all'orecchio per chi fa uso del telefonino da più di 10 anni. Per quanto riguarda il computer, poi, uno dei rischi più recenti - riferiti dallo studio di un gruppo di ricercatori giapponesi - è legato all’uso prolungato (8-9 ore) da parte dei miopi: aumenta in maniera esponenziale il rischio di glaucoma, una malattia degli occhi che spesso provoca la cecità.
Adesso il meno che si può osservare dello studio pubblicato dal «Journal of Alzheimer's Disease» - e di tanti altri - è che i risultati devono essere replicati e che, per dirla banalmente, occorre passare dai topi agli uomini. Senza parlare dello scarso numero delle cavie - divise in sottogruppi - utilizzate per l'esperimento, fatto che, naturalmente, aumenta il rischio che alcuni dei risultati osservati siano frutto del caso. Una realtà che rimanda ad una serie di questioni come la «fretta» di alcuni gruppi di ricerca di comunicare i risultati, spinta da motivazioni diverse (scientifiche, accademiche, finanziarie) e, dall'altra parte, l'interesse nei media di gettarsi sulla «notizia».
Una propensione pericolosa, soprattutto quando riguarda anticipazioni su studi epidemiologici delicati e preliminari, capaci di produrre - se comunicate in maniera inappropriata - un forte impatto sull’opinione pubblica e di influenzare negativamente chi ha la responsabilità delle decisioni politiche, come è accaduto nel caso della vicenda sui presunti casi di leucemia legati alle emissioni della Radio Vaticana.
Molte indagini condotte sulle radiofrequenze - così come altre, in diversi ambiti, riguardanti le ipotesi di un «boom» di tumori - si sono basate troppo spesso su studi segnati da forti limiti: carenza di dati d'esposizione e «informazioni confondenti», oltre a un numero troppo limitato di casi analizzati, descritto in uno studio americano famoso come «legge dei piccoli numeri». I numeri, troppo spesso, sono ritenuti altamente rappresentativi delle popolazione e da qui nascono gli effetti distorsivi in chi li legge, spiegabili, spesso, con le scarse conoscenze di molti sulla statistica.
L’«emozionalismo» - nella vita pubblica, dalla politica alla cultura - sta diventando (si sa) la cifra della nostra epoca. Ma dovrebbe essere bandito dalla trasmissione alla pubblica opinione dei percorsi e dei traguardi del sapere scientifico, oltre che delle sue conquiste e delle sue scoperte. Tante frontiere diverse, in cui sono un elemento integrante anche le incertezze, i dubbi e le domande, tutte caratteristiche proprie dell'avventura scientifica.


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