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La Stampa-CULTURA IN SVENDITA

PERCHÉ QUESTA SETTIMANA LA SCUOLA SCIOPERA CULTURA IN SVENDITA OGGI si apre una settimana di intensa attività sindacale della scuola italiana: scioperano i sindacati dei docenti di varie ...

14/10/2002
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La Stampa

PERCHÉ QUESTA SETTIMANA LA SCUOLA SCIOPERA
CULTURA IN SVENDITA

OGGI si apre una settimana di intensa attività sindacale della scuola italiana: scioperano i sindacati dei docenti di varie sigle. E venerdì gli insegnanti della Cgil parteciperanno allo sciopero generale indetto dalla loro organizzazione. Al centro delle agitazioni ci sono rivendicazioni che sarebbe sbagliato trascurare. Sia perché la scuola è, come la giustizia e la sanità, una questione di interesse così generale da non dover lasciare indifferente nessun altro cittadino; sia perché, con la crisi che colpisce la più grande industria italiana, la questione della scuola, dell'università, della ricerca, non è fuori tema, non è meno urgente (se non altro perché è molto più cronica), e si svela in tutta il suo peso fondamentale. I 77 rettori di tutte le università statali italiane che hanno annunciato le loro dimissioni se la legge finanziaria non cambierà, i 15.000 ricercatori che hanno protestato contro i tagli ai fondi per la ricerca, il Cnr che ha annunciato di dover ridurre drasticamente i suoi programmi (praticamente limitandosi a far fronte alle spese obbligatorie), e ora i docenti delle scuole di ogni ordine e grado che - senza distinzione di opinioni politiche - manifestano la loro opposizione alla politica scolastica del governo, non parlano d'altro rispetto alla crisi della Fiat. Ne toccano solo uno dei punti più rilevanti e davvero concernenti tutta la società nazionale. Chi si preoccupa giustamente di non lasciare "andare via" l'industria dell'automobile dal nostro Paese non pensa soltanto, com'è ovvio, al destino delle decine di migliaia di lavoratori che vedono messo in pericolo il loro posto e il loro salario; ma insiste anche sul significato traente che l'industria dell'auto ha sempre avuto e ha per la ricerca e per l'innovazione tecnologica di tutti i settori della nostra vita associata. Quello che è in gioco nella difesa dell'industria come nella rivendicazione di maggiori fondi per la scuola, la ricerca, l'università è la stessa cosa, cioè il futuro del nostro Paese che, senza una potente ripresa della scolarizzazione e della ricerca, rischia di cadere nel baratro dei paesi in via di (sotto)sviluppo. Diventeremo un paese di mano d'opera sussidiaria, dequalificata, e potremo attrarre investimenti solo offrendo salari sempre più bassi, facendo così concorrenza alla Cina, all'India (che peraltro si stanno attrezzando molto più di noi sul piano delle produzioni di qualità), a quel terzo mondo da cui ci sentiamo (ancora per quanto?) abissalmente lontani. Che cosa insegneranno i nostri licei che, con la parificazione di una massa di istituti privati, sono ormai nella condizione di vendere i diplomi a chi ha i soldi per comprarli, alla faccia della qualità? E per quanto tempo ancora i nostri ricercatori, come il professor Giaccone premio Nobel per la fisica, dovranno andare a lavorare all'estero, mettendo a disposizione di istituzioni e industrie straniere i risultati anche tecnologici delle loro ricerche? Bisognerà pure che, tra una legge sulla depenalizzazione del falso in bilancio e una per salvare Previti dal suo processo, il governo ci pensi. europarlamentare Ds
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