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La Stampa: “Cari prof, siete voi a bloccare i giovani”

Il ministro: sono al mio posto e cambierò l’università

02/11/2007
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La Stampa

GABRIELE BECCARIA

I bandi bloccati? D’ora in poi i ricercatori saranno selezionati in modo trasparente

TORINO

Mussi dove sei? «Mussi - vi dico - c’era e c’è!».
Conosce bene i professori che l’altro ieri l’hanno messo strapazzato su «La Stampa», li definisce con ironia «i miei illustri interlocutori» e prima di sottoporsi alla lista degli atti d’accusa il ministro per l’Università e la Ricerca chiede la parola: «Il punto cruciale delle discussioni è il merito. Ma, se gli accademici, essendo titolari del potere didattico, ne facessero la loro stella polare, sarebbe quasi tutto risolto. E invece non è così. Ci vogliono regole e un governo del sistema. Ma lo sa quante volte mi sono trovato a combattere casi di arbitrio e a fronteggiare casi di corruzione?».
Ministro, gli «illustri interlocutori» ripetono che la ricerca agonizza. Prima accusa: il bando per il finanziamento dei progetti dei ricercatori, il PRIN, è in ritardo di sei mesi. Cosa risponde?
«Che c’è una verità e un errore. Il PRIN l’ho bandito appena il ministero dell’Economia ha svincolato i fondi. Il bando, io, l’avevo pronto da marzo. Quindi si sbaglia indirizzo: le proteste devono essere spedite a Padoa Schioppa. I dati, comunque, sono straordinari».
Non sta esagerando?
«Sono stati presentati 16 mila progetti e coinvolti 80 mila ricercatori. In pratica, l’intera comunità scientifica. E il bando destina 150 milioni, un altro record».
Ma intanto migliaia di ricercatori sono senza stipendio. Quanto aspetteranno perché arrivino i fondi?
«Faremo presto, entro un paio di mesi. Ho già insediato la commissione PRIN».
Seconda accusa: i criteri di selezione non sono sempre trasparenti. E’ vero?
«Si parla di cose che non si conosce! La selezione avviene con il criterio anglosassone della “peer review”, con esaminatori - i referees - scelti da liste nazionali e internazionali. E sia i i progetti presentati con il PRIN sia quelli con il 7° Programma Quadro dell’Europa dimostrano dati lusinghieri. In questo secondo caso su 599 programmi selezionati nell’Ue quelli italiani sono 70, vicini alla percentuale del 14% che ci eravamo prefissi, perché è la cifra con cui l’Italia contribuisce al budget della ricerca».
Terza accusa: l’Agenzia di valutazione delle università e della ricerca - l’ANVUR - continua a slittare, ora al 2008. Che cosa si aspetta?
«Lo sapete che dell’Agenzia si parla da 20 anni? Se avessi dovuto seguire la trafila legislativa, ci sarebbe voluta una legislatura. E invece l’abbiamo messa nella Finanziaria e dopo i controlli dei poteri dello Stato il Parlamento darà il parere a novembre. A febbraio potrebbe essere operativa».
Si rischia l’ennesimo ente burocratico-nepotistico?
«Ma no! Sarà una struttura snella, che non c’entra con la burocrazia pseudoministeriale di cui qualcuno parla, e sarà tanto snella che funzionerà con cinque milioni l’anno. Avrà uno staff di sette persone più un board».
Come le sceglierete?
«Allo stesso modo con cui abbiamo deciso di scegliere i presidenti di ASI, l’Agenzia Spaziale, INAF e CNR: il governo si è spogliato dell’autorità di nominarli e ha chiesto alla comunità scientifica di preparare rose di nomi da cui effettuare la selezione. Si ripete la storia del peso dei partiti e questa è la prova che abbiamo tagliato il problema alla radice».
Quanti soldi controllerà l’ANVUR?
«La destinazione dei fondi resta di competenza del governo. La quota dell’Agenzia sarà del 5%».
Poco, non le sembra?
«No. La cifra basta a spostare i pesi e aumenterà nel tempo in rapporto al budget. Oggi destiniamo lo 0.88% del pil all’università, 11 miliardi, contro una media europea del 1.2%».
Quarta accusa: i concorsi. Sono bloccati e, quando ci sono, fanno vergognare per clientelismo. Cosa farà?
«Sono state tentate numerose formule, senza eliminare sgradevoli effetti collaterali. Ma mi faccia cominciare da un bilancio: la struttura surreale del corpo docente. Abbiamo 20 mila ordinari, 19 mila associati e 22 mila ricercatori. Invece di una piramide c’è un cilindro. E l’età media degli ordinari è 60 anni. Solo nove docenti sono sotto i 35 anni e molti sono figli d’arte, il che non è incoraggiante. Avendo avuto il potere, l’accademia ha sbarrato la strada ai giovani e gli anziani si sono promossi vicendevolmente. E’ il risultato di aver affidato la selezione all’autonomia delle università. Ho quindi scelto uno stop provvisorio per associati e ordinari e ho preparato un piano straordinario per i ricercatori: 20 milioni per quest’anno, 40 nel 2008, 80 nel 2009. Così si apre la porta ad almeno 4 mila giovani».
E i metodi? Resteranno i soliti?
«No. C’è una regola nuova: la prima valutazione è fatta da esaminatori italiani e internazionali che controllano i curricula e mandano un quarto del totale alle commissioni d’ateneo. E’ la prima volta che succede e il principio vorrei estenderlo».
Ma il regolamento è stato bocciato dal Consiglio di Stato: le risulta?
«Ho ricevuto delle osservazioni e alcune sono state accolte. Siamo all’ultimo passaggio».
Le novità riguarderanno i professori?
«Sì. Si possono sbloccare i concorsi con regole nuove. E si deve allargare la base. Ricordo che dopo la sua legge, chi mi ha preceduto, Letizia Moratti, insediò delle commissioni che dovevano interpretarla».
Quinta accusa: lei ha congelato il bando per il «rientro dei cervelli»: perché?
«Quella legge non l’avrei mai fatta! E’ propagandistica e riguarda una frazione infinitesimale di ricercatori. Abbiamo riportato a casa 500 cervelli, quando qui si sarebbero potuti stabilizzare mille ricercatori».
Però solo 70 ricevono uno stipendio: non è assurdo abbandonarli?
«Quando mi sono insediato, erano 30. Ora siamo a 70. Farò altri sforzi, ma ho chiesto di rivedere i criteri. Dal mondo accademico sento un’obiezione: non basta essere stati all’estero per salire in cattedra».
Sesta accusa: le università sprecano risorse.
«Con la mia riforma degli ordinamenti didattici ho imposto lo stop alla proliferazione dei corsi e alla moltiplicazione delle sedi. Le università hanno tre anni per adeguarsi».
Settima accusa, che proviene da tutti: non la fa vergognare che un ricercatore guadagni ancora meno di un operaio?
«E’ uno scandalo: questo è un Paese che prende a schiaffi i suoi giovani migliori, eppure sono bravissimi».
Ultima accusa: perché voi politici parlate di tutto, tranne che di ricerca?
«L’attenzione è scarsa e riguarda tutti, politica e industria. Ma il nostro destino è legato a ricerca e formazione. Senza siamo fottuti!».


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