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La scuola migliora anche senza leggi

Questo ha a che fare con quell’insieme di risorse immateriali ma decisive che i sociologi definiscono con il termine «capitale sociale»

04/12/2013
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Corriere della sera

Giovanni Belardelli

Come anticipato ieri da questo giornale, nei test Ocse-Pisa le competenze degli studenti italiani in matematica, lettura e scienze sono migliorate, anche se ancora restano sotto la media Ocse. È un dato a prima vista sorprendente, che proprio per questo ci costringe a riflettere mettendo da parte certi schematismi cui facciamo spesso ricorso. Ad esempio, quel dato sembra smentire l’opinione corrente secondo la quale per risolvere ogni problema nel campo dell’istruzione (e non solo) basterebbe ottenere più soldi dallo Stato. Non è così, visto che negli stessi anni in cui si verificava il miglioramento registrato dal rapporto Ocse-Pisa l’Italia ha ridotto la propria spesa per l’istruzione. Sembra che la pensi allo stesso modo la maggioranza dei presidi italiani, secondo i quali la carenza di computer o l’assenza di una rete wireless di cui soffrono molti istituti non rappresentano di per sé problemi insormontabili per poter svolgere il proprio compito educativo. È un’implicita presa di distanze da certa retorica sulla «scuola 2.0», che spesso è sembrata affidare soprattutto all’informatizzazione la soluzione dei problemi del nostro sistema educativo (il ministro Profumo, come si ricorderà, promise agli insegnanti un tablet, che temo peraltro non sia mai arrivato). Naturalmente, è del tutto ovvio che alla scuola servono sia i computer sia un più adeguato stanziamento di risorse. Ma la qualità di un sistema di istruzione non è fatta solo di queste cose.
Ieri il responsabile del rapporto, il tedesco Andreas Schleicher, intervistato dal Corriere , ha sostenuto che le migliori performance della scuola italiana sarebbero dovute a una nuova politica verso gli insegnanti. Da insegnanti mal pagati e formati piuttosto male saremmo passati a «meno docenti ma più capaci e professionali». Come a chi vive in questo Paese è ben noto, in realtà nulla del genere è accaduto in Italia, dove la politica di reclutamento dei docenti continua a essere dominata dal problema dell’assorbimento dei precari e molti anni fa un ministro che propose di premiare gli insegnanti più capaci ci rimise il posto. Piuttosto, il miglioramento delle competenze dei nostri studenti nei test internazionali dimostra qualcosa che, in un Paese statalista come il nostro, tendiamo a dimenticare: e cioè che la pretesa di governare minutamente la società attraverso le leggi è in gran parte un’illusione. Perché a volte tante leggi si esauriscono nell’effetto annuncio e neppure entrano in vigore per mancanza dei decreti attuativi; ma soprattutto perché i processi di evoluzione della società si lasciano controllare solo in parte, spesso una piccola parte, dalla iperproduzione legislativa a cui ormai ricorrono i governi. Il miglioramento registrato dall’Italia nella classifica Ocse-Pisa si deve in realtà, per la gran parte, agli ottimi risultati ottenuti dai giovani del Nordest: per la competenza matematica gli studenti di Trentino, Friuli-Venezia Giulia e Veneto conseguono punteggi molto alti e si collocano, insieme all’Olanda, ai vertici della classifica dei Paesi Ue. Ma questo ha a che fare appunto, più che con le leggi elaborate tra viale Trastevere e il Parlamento, con la vitalità e il dinamismo di quelle Regioni; ha a che fare con quell’insieme di risorse immateriali ma decisive che i sociologi definiscono con il termine «capitale sociale». È anche per questo, temo, che il rapporto presenta dati negativi riguardo all’intero Mezzogiorno: se la Sicilia si colloca sotto la Turchia, la Calabria si posiziona al fondo della classifica mondiale.
È un dato che non può sorprendere, per chi conosca la condizione di un Sud dove intere aree sfuggono al controllo dello Stato, dove le prospettive economiche sono sempre più deboli, dove per i giovani la possibilità di guardare con ottimismo al futuro sembra fuori dalla realtà. Ed è questo un messaggio drammatico che i dati sui test Ocse-Pisa mandano a tutti noi e in primo luogo a chi ha responsabilità di governo, non solo scolastico. 

 


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