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Io, barone, difeso dai ricercatori

Dell'università italiana si può (ed è questo il vero dramma) dire tutto il bene possibile e tutto il male possibile, senza, purtroppo, che nessuna delle due visioni contrapposte sia necessariamente faziosa

30/11/2010
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il manifesto

Enzo Scandurra

Dell'università italiana si può (ed è questo il vero dramma) dire tutto il bene possibile e tutto il male possibile, senza, purtroppo, che nessuna delle due visioni contrapposte sia necessariamente faziosa.
Esistono centri di potere corrotti, così come c'è una valanga di precari, ricercatori, docenti e "baroni" che si prodigano per tentare di farla funzionare. Come ha fatto rilevare anche Walter Tocci si fronteggiano due visioni. Chi vede in questa prestigiosa istituzione nazionale solo gli aspetti malati, di corruzione, di nepotismo e, dall'altra, chi guarda ad essa come un luogo dove ancora è possibile costruire saperi, idee, pensieri non subordinati alle ideologie dominanti. E' ovvio, allora, che le opinioni in merito alla cosiddetta "riforma Gelmini", divergano. I primi optano per una legge "di riforma" di tipo punitivo: distruggiamola, rendiamola impraticabile, così avremo distrutto un centro di potere; insomma usiamo contro l'università gli stessi metodi che usiamo contro la mafia. Si potrebbe addirittura pensare, secondo questa logica, di confiscargli i beni patrimoniali (cosa che in parte sta avvenendo) per darli a organizzazioni non-profit (ammesso che queste ultime riescano a sopravvivere dopo i tagli di Tremonti).
C'è un furore distruttivo nei suoi riguardi che va dai Panebianco ai Rutelli. Peccato, però, che in questo modo si buttano nel fiume i bambini oltre all'acqua sporca. In questo modo, sì, facciamo un vero favore ai baroni, che poi altro non sarebbero che una minoranza di professori ordinari di ruolo (ben protetti dal Ministero) che esercitano il potere di veto nei riguardi di tutte le altre categorie di docenti. C'è, al contrario, una visione opposta (ed è quella di tutti coloro che oggi sono scesi in piazza) che guarda all'università come a un luogo ancora libero, un luogo dove si fa ricerca, dove si preparano le future classi dirigenti per affrontare le sfide sempre più complesse del mondo contemporaneo. Se guardiamo da questa parte gli episodi di abnegazione, di attaccamento al lavoro, di impegno, sono addirittura eccezionali.
La cosiddetta "riforma Gelmini" è un parto malato e velenoso della prima visione, tanto che i danni, indipendentemente dalla sua approvazione - che costituirebbe il colpo di grazia finale - sono stati già fatti. Un miliardo e mezzo in meno di finanziamenti per i prossimi anni, favoreggiamento di università private, telematiche, e quant'altro di oscuro nella formazione superiore, incanalamento su un binario morto degli attuali ricercatori, blocco del turn-over, menomazione del diritto allo studio, riduzione drastica degli assegni di ricerca e così via (un elenco sterminato di provvedimenti punitivi).
Ecco il vero regalo ai baroni che possono insegnare nell'università pubblica e poi correre in quella privata che, badate bene, si mantiene con gli stipendi pubblici dei professori pagati dallo Stato. La Gelmini dice che bisogna ridurre il potere dei baroni e in questa affermazione c'è già tutta la visione punitiva, negativa dell'università (oltre a una insana propaganda di informazione). Ma sapete cosa ha fatto nel frattempo? Le commissioni di concorso per ricercatori e associati, fino a poco tempo costituite da: ricercatori, associati e ordinari, la Gelmini le ha modificate nella loro composizione. Oggi quelle commissioni di concorso sono composte solo da professori ordinari, cioè dai Baroni (per continuare ad usare questo termine ingiustamente dispregiativo nei riguardi di tutti i professori ordinari).
Oggi in piazza non scendono come dice la infame propaganda gelminiana e governativa, studenti e ricercatori che si fanno strumentalizzare dai Baroni (e dai partiti della sinistra). In piazza ci scendo anch'io, professore ordinario da oltre 25 anni; ci scendono coloro che continuano a pensare all'università come a uno dei luoghi dove si produce il futuro della nazione contro i becchini dell'università che a partire dalla loro visione cinica e mortifera la vorrebbero morta e sepolta magari a vantaggio di qualche Cepu, di qualche invenzione di fantasmi di università telematiche e a vantaggio di quei Baroni (questi sì, veri Baroni) che oggi, approfittando della "sospensione didattica", si sono prontamente spostati nei loro eleganti studi delle università private in attesa che la Gelmini restituisca loro tutto il potere.
Ebbene si, gli studenti e i ricercatori che sono scesi in piazza difendono anche me; difendono gli interesse sani del paese, difendono gli interessi di tutti i cittadini che vorrebbero vivere in un paese libero, senza mafie, senza ingiustizie, senza discriminazioni e lottano contro quelli che vogliono invece restaurare privilegi, poteri occulti, favoritismi, clientele. L'università italiana, secondo la cosiddetta riforma Gelmini si trasformerebbe da comunità scientifica transnazionale di studiosi liberi a organismo burocratico amministrativo dove si affermerebbero solo i mediocri e gli affaristi, tutti quelli che sono bravi nel compilare moduli e inutili schede amministrative. Si potrebbe dire ..la chiamavano riforma ed era invece solo una stupida restaurazione di potere. Il che non significa che l'università non avrebbe bisogno di una vera riforma.
 


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