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In classe il 7 gennaio? Rischia di essere uno slogan

Bisogna ripartire in presenza, ma in una situazione di sicurezza. Il problema è che dalla riapertura a oggi, per responsabilità di governo e Regioni, non è stato fatto abbastanza, a cominciare dalla sanità e dai trasporti. Deludenti anche le misure contenute nella legge di bilancio

15/12/2020
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Collettiva.it

Stefano Iucci

Le scuole riapriranno il 7 gennaio. Una buona notizia, certamente, ma che rischia di rimanere uno slogan, “perché, da quando alcuni presidenti di Regione prima e il governo con un Dpcm poi, hanno deciso di fermare la scuola in presenza non è stato fatto abbastanza – così Francesco Sinopoli, segretario generale della Flc Cgil –. Quindi più passano i giorni e più quel 7 gennaio diventa una data improbabile, a meno che qualcuno non ci spieghi che le scuole, o per un calo generalizzato dei contagi o per accorgimenti nuovi che però noi non vediamo, possano riaprire in sicurezza”.

Eppure si dice che le scuole sono luoghi sicuri, non è così?

Bisogna essere chiari. Le scuole non sono luoghi sicuri in sé ma certamente hanno regole molto rigide che se rispettate contribuiscono a renderle più sicure di altri luoghi. Purtroppo ciò che avviene fuori dalla scuola non è altrettanto regolato e molti dei presupposti che avrebbero reso le scuole ancora più sicure non si sono concretizzati per responsabilità del governo e delle regioni. Ma in assenza di condizioni di sicurezza le scuole non possono rimanere o ripartire in presenza. Quindi è determinante che queste condizioni – a partire dai dispositivi sanitari – vengano garantite. Altrimenti sarà il sindacato a dover chiedere, e lo dico con grande rammarico, che la scuola in presenza venga sostituita dalla scuola a distanza. Questo, ovviamente, non ha nulla a che vedere col fatto che alcuni presidenti di Regioni hanno chiuso le scuole in maniera generalizzata: fatto che dipende dal loro fallimento nell’affrontare i nodi che riguardano trasporti e sanità e che sono di loro competenza.

Il sindacato però nei mesi scorsi ha firmato dei protocolli, proprio sulla sicurezza...

Certamente, ma vanno aggiornati. In ogni caso, non tutte le misure necessarie per mantenere le scuole in presenza sono state adottate. E questo non da novembre, ma da marzo. La verità è che nessuno ha spiegato la ragione per cui le scuole sono state chiuse: se questa decisione era da imputare al fatto che fosse la via più semplice per abbattere i contagi in ragione di tutto ciò che intorno alla scuola si muove, oppure se c’era un problema specifico di aumento della trasmissione del virus negli istituti. Non solo: non esistono dati precisi sui contagi nelle varie regioni che permettano di giustificare le scelte differenziate per ciascuna realtà. Se non si conoscono con precisione dati e numeri dei contagi allora diventa complicata l’adozione di interventi adeguati sia sulla sicurezza che sulla prevenzione.

Il tema, insomma, è coniugare il diritto alla salute con quello alla sicurezza di lavoratori, studenti e famiglie…

È così. Al crescere dei casi di contagio nelle scuole – inserite, ormai, anch’esse nella classifica Inail sui settori lavorativi soggetti agli infortuni sul lavoro - aumenta naturalmente la preoccupazione dei lavoratori e delle famiglie

Quali sono gli interventi che sono mancati per mettere le scuole in completa sicurezza?

Innanzitutto un investimento su un sistema di trasporto esclusivo per le scuole, in particolare ovviamente per le secondarie. E poi un rapporto efficace tra Asl e istituzioni scolastiche che vada verso l’istituzione di una medicina scolastica. Invece il sistema dei tracciamenti è fallito e non si è riusciti neanche a creare una corsia preferenziale per i tamponi. Chiediamo anche che chi lavora a scuola abbia la precedenza nella somministrazione dei vaccini. D’altro canto trasporti e sistema sanitario sono, ribadisco, di competenza delle Regioni, alcune delle quali, proprio avendo fallito su questi aspetti, hanno scelto di ricorrere alla dad in maniera esclusiva. 

Oppure addirittura, come nel caso della Puglia, di far decidere alle famiglie se mandare i propri figli a scuola.

Una scelta gravissima. In alcuni casi si è innescato un processo che ha visto la scuola diventare ostaggio di un conflitto tra presidenti di Regione – che non sono affatto governatori come pure spesso si dice – e ministero e nel quale i primi hanno assunti competenze che non hanno e non devono avere sulla scuola. Non è competenza della Regione decidere se la scuola è dad o in presenza né è ammissibile – come il caso che citi della Puglia – che si possa chiedere addirittura alle famiglie di scegliere se mandare o no i figli in classe. Purtroppo oggi scontiamo un grande disordine  istituzionale determinato da scelte sbagliate, a partire dalla riforma del titolo V della Costituzione.

I sindacati avevano salutato con grande soddisfazione l’istituzione dei tavoli sulla sicurezza. Anche questi non hanno funzionato?

Purtroppo no: sia quello nazionale, sia quelli territoriali. E la responsabilità è tutta del ministero. E se ora si pensa di risolvere le questioni dando ai prefetti il potere di decidere – posto che ogni funzione di coordinamento degli interventi è ben accetta – prescindendo dal confronto con le parti sociali e dal coinvolgimento delle delle autonomie scolastiche, ci si sbaglia di grosso.

Proprio in questi giorni si vanno definendo i contenuti della legge di bilancio. Il Consiglio dei ministri ha licenziato una bozza. Vi soddisfa?

Assolutamente no. Dovrebbe essere l’occasione per scelte che richiedono maggiori risorse, a partire dalla riduzione del numero di alunni per classe. Scelte di cui però di al momento non c’è traccia. Anche la posta messa per il rinnovo del contratto di lavoro, scaduto da due anni, non è assolutamente sufficiente, mentre ci sarebbe davvero bisogno di attenzione per quei lavoratori che in questi mesi difficili sono riusciti a garantire il diritto all’istruzione. 

E per quanto riguarda il Next Generation Eu, siete soddisfatti del capitolo che riguarda la scuola?

Anche in questo caso no. Al di là dei titoli, quale sia la strategia non si è capito affatto. Per noi bisogna andare verso la generalizzazione della scuola dell’infanzia e l’obbligo scolastico a 18 anni. Occorre cioè investire sul tempo scuola che è negato alle bambine e ai bambini di tante zone del paese. È stando a scuola che si combattono le diseguaglianze di partenza. Ed è per questo che bisogna lottare per la scuola in presenza. Che però, come detto, deve essere in sicurezza.


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