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Impiegati, piazza bella piazza

E ora si prepara una manifestazione nazionale sul lavoro: «La vera emergenza di questo paese»

09/10/2011
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il manifesto

Dino Collazzo
Roma Con un corteo composto da almeno 20mila manifestanti, gli studenti hanno scelto di esserci per ribadire che «senza pubblico non c'è nessun futuro» Da tutta Italia, la Cgil porta a Roma la protesta dei dipendenti pubblici contro il governo


«Il paese ha bisogno di crescere. Per tre anni ci hanno detto che la crisi non esisteva e intanto preparavano manovre in cui distrugevano il welfare, facendo pagare i costi più alti ai lavoratori e in particolarea quelli del pubblico impiego. La dimostrazione è la lettera della Bce che è uno schiaffo. È il commissariamento del Paese e non è un caso che sia stata tenuta nascosta fino ad ora». Così il leader della Cgil, Susanna Camusso, ha aperto il suo discorso in piazza del Popolo a Roma dove si è conclusa la manifestazione dei lavoratori pubblici. La giornata è iniziata in piazza della Repubblica, dove da tutta Italia è arrivato il popolo della Cgil. In almeno 20 mila si sono radunati per ascoltare e capire dal sindacato cosa fare. E tante infatti sono state le proposte e le critiche che dal palco i segretari generali della Fp e Flc Cgil, Rosanna Dettori e Domenico Pantaleo hanno rivolto ai loro.
Si è affrontato il tema della precarietà e della necessità di ridare stabilità al lavoro, si è ribadito che il contratto collettivo nazionale è una ricchezza e che non va toccato per arrivare al tasto dolente delle Rsu nelle pubbliche amministrazioni. «A marzo noi vogliamo votare e voteremo per le Rsu - ha detto Dettori - e nessuno può toccare o toglierci questa forma di democrazia». A ribadire il concetto anche la Camusso, che ha poi spiegato come il sindacato intende uscire dalla crisi. Un nuovo patto di cittadinanza che faccia pagare di più chi ha di più, una maggiore redistribuzione, una più oculata attenzione alla sicurezza del lavoro, «perché morire per 4 euro all'ora - ha detto il segretario ricordando le donne morte a Barletta - facendo un lavoro in nero è non solo inciviltà, ma una nuova schiavitù».
Una frecciata la leader del sindacato l'ha lanciata sempre al governo anche sul tema della giustizia. Sottolineando come, in una situazione tanto grave, c'è chi pensa solo ed esclusivamente ai suoi guai giudiziari, cercando di sfuggire ai processi «attraverso leggi che imbavagliano la stampa e impediscono di intercettare».
Ha poi ricordato come, proprio in questa bella piazza romana, lo scorso febbraio le donne hanno rivendicato la loro dignità in quel grido, che la Camusso ripete come un mantra, «se non ora quando» e che è assurto a simbolo di cambiamento. Emoziona e strappa consensi a chi ieri ha scelto di andare a Roma a far sentire la propria voce. Lavoratori della pubblica amministrazione, precari, ricercatori dell'università e studenti che hanno scelto di esserci per difendere il futuro di chi lavora e costruire certezze per quello che sarà il loro.
Il corteo si è snodato lungo le vie del centro dove i manifestanti hanno dato vita a una vera e proria festa in piazza. Urla, canti e balli per rivendicare diritti e soprattutto per difendere ciò che è pubblico. Come la signora Beatrice Della Santa, un'insegnante delle scuole materne: «Io sono qui non solo per chiedere che la smettano di mortificare chi lavora, è facile prendersela con chi ha sempre rispettato le regole, ma anche per difendere diritti. Non chiedo più soldi, sarei disposta a prendere di meno a patto che le cose funzionassero meglio per tutti».
Più dura invece Luana Baracchi, collaboratrice scolastica in un scuola dell'infanzia di Modena. La guardi negli occhi e capisci subito di avere a che fare con una donna combattiva, una che le cose non le manda a dire. «Io sono preoccupata per il futuro dei miei figli, non solo perché non so che cosa li aspetta alla fine del loro percorso di studio, ma soprattutto perché quando gli insegnanti vengono mortificati hanno meno voglia di insegnare e tutto questo ricade sugli alunni. Il precariato è diventata una condizione mentale». Il futuro è la parola che ascolti di più parlando con i lavoratori, solo che «abbiamo un futuro costruito su progetti a breve termine», dice Claudia, insegnante, parlando della sua situazione. Da tre anni assunta a tempo indeterminato, dopo aver vinto il concorso, si definisce una «privilegiata» anche se per anni ha lavorato come precaria e spesso attaverso le cooperative, dove lo stipendio è ancora più basso. «Oggi ho un contratto stabile, con questo però non posso dire permettermi grandi progetti, vivo giorno per giorno. A me piace quello che faccio ed è per questo che protesto. Non si può distruggere il settore pubblico, una risorsa».
Chi invece di progetti ne fa pochi è Michele Zurru, viene dalla Sardegna e dopo 13 anni è riuscito ad avere un contratto a tempo indeterminato come amministrativo. La beffa però è che a seguito dei tagli previsti nelle varie manovre, lui, a differenza dei suoi colleghi, potrà beneficiare dello scatto per anzianità solo fra 12 anni. «A quell'età sarò in pensione: quale scatto mi riconosceranno?», ironizza Michele. «Vivo con i miei e ogni mattina faccio 170 chilometri per andare al lavoro. Ho uno stipendio da 1000 euro e di progetti non è che se ne possono fare molti. C'è però chi sta messo peggio, per questo sono qui».

 


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