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Il Riformista-L'abolizione del valore legale della laurea? Uno slogan massimalista

UNIVERSITÀ 2. LA RICETTA DI GIAVAZZI E IL LIMITE DELLA LEGISLAZIONE UE DI ALESSANDRO FIGÀ TALAMANCA L'abolizione del valore legale della laurea? Uno slogan massimalista "Abolire il val...

05/12/2005
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Il Riformista

UNIVERSITÀ 2. LA RICETTA DI GIAVAZZI E IL LIMITE DELLA LEGISLAZIONE UE DI ALESSANDRO FIGÀ TALAMANCA
L'abolizione del valore legale della laurea? Uno slogan massimalista

"Abolire il valore legale della laurea". Questo è il primo dei cinque punti programmatici che dovrebbero caratterizzare l'azione di un futuro governo, secondo l'editoriale di Francesco Giavazzi, pubblicato il 26 novembre scorso sul Corriere della Sera. Che senso può avere questa proposta?
Chiariamo subito che l'abolizione totale del valore legale della laurea non è possibile per i titoli di studio che danno accesso alle professioni regolate dall'Unione Europea. Queste comprendono le professioni sanitarie (e non solo). La legislazione europea impedirebbe quindi l'applicazione del rimedio miracoloso indicato da Giavazzi, alle facoltà di Medicina, di Farmacia e di Veterinaria.
E per le altre facoltà? Immaginiamo, per un momento, di vivere in un paese dove un sistema severo e imparziale, di selezione degli impiegati pubblici ci consenta di prescindere dal possesso della laurea per l'accesso ai pubblici impieghi. È realistico ritenere, come fa Giavazzi, che una volta abolito il valore legale della laurea, si instauri un regime di concorrenza tra le diverse università, sulla base del quale, "chi mette in cattedra delle capre solo perché amici del preside o del rettore" rischierebbe di "trovarsi senza studenti"?
In realtà solo gli specialisti del settore sono in grado di distinguere (con un buon margine d'errore) le "capre" dai ricercatori più qualificati. Le "capre" abbondano in generale di pubblicazioni "scientifiche" che solo un esperto è in grado di leggere e valutare. Come possiamo pensare che questa differenza sia percepita dagli studenti e dalle loro famiglie? L'esempio dell'Inghilterra, dove, secondo Giavazzi, "le università sono le migliori d'Europa", non calza proprio. La concorrenza tra università nella scelta dei docenti migliori, è stata determinata da un programma del governo centrale che attribuiva a 68 commissioni nazionali, competenti in 68 diversi ambiti disciplinari, il compito di giudicare la ricerca scientifica svolta dai docenti delle diverse sedi universitarie. Sulla base dei giudizi tecnici formulati da queste commissioni è stato ripartito un finanziamento pari al 30% del finanziamento ordinario. Non è stato quindi il mercato a decidere chi erano i docenti scientificamente più validi ma commissioni nazionali, competenti per ciascun ambito disciplinare. Potrebbe, lo stesso sistema essere applicato in Italia? Forse, ma il valore legale della laurea non c'entra nulla.
Del resto, negli Stati Uniti, dove "il mercato" può manifestarsi anche nell'ambito dell'istruzione superiore, succede spesso che le famiglie preferiscano iscrivere i figli a costose istituzioni private, dove non si svolge alcuna ricerca scientifica di rilievo, piuttosto che a semigratuite università statali, i cui docenti sono molto attivi nella ricerca scientifica. In questi casi il mercato, ignora l'attività di ricerca e premia la maggiore cura nella didattica. Premia anche, soprattutto, la possibilità di frequentare altri rampolli della classe dirigente. È proprio il maggior costo di queste istituzioni a determinarne quindi il successo: ad esse possono accedere solo i ricchi, e, come risulta evidente in molti altri contesti, la frequentazione dei ricchi ha un alto valore di mercato. Naturalmente non avrebbe senso per un sistema di università statali assecondare questo tipo di richieste del "mercato", e gli ottimi sistemi statali americani si guardano bene dal farlo.
Più che un punto programmatico, l'abolizione del valore legale delle lauree sembra quindi uno slogan massimalista, che, come tutti i massimalismi, finisce per allontanare le riforme possibili. E, infatti, il Ministro Tremonti, nel replicare, il giorno seguente a Giavazzi, cita oltre al caso della laurea in medicina, il comma dell'art. 33 Costituzione, che prescrive "un esame di Stato& per l'abilitazione all'esercizio professionale". Tanto gli basta per concludere che qualsiasi riforma del valore legale della laurea debba essere concordata con le professioni, cioè con gli attuali ordini professionali. È proprio ciò che, a suo tempo, fece il Governo di centrosinistra, quando perse l'occasione della riforma del 3+2 per allentare la morsa degli ordini professionali sull'ordinamento universitario.
Un'attenuazione del valore legale della laurea, specialmente della laurea di secondo livello, è necessaria per il buon funzionamento della riforma del 3+2, nell'interesse degli studenti, e di un più libero ed efficiente mercato del lavoro intellettuale. Dovrebbe quindi essere nel programma di un nuovo governo.
Bisognerebbe anche evitare, in ogni caso, la creazione di nuovi ordini. Alle associazioni di laureati (come i laureati in fisica) che lo richiedono, si deve rispondere eliminando le barriere (imposte spesso dai contratti del pubblico impiego) che impediscono loro di competere liberamente altri laureati indipendentemente dall'iscrizione a un ordine.
Ma soprattutto, per affrontare seriamente questi ed altri problemi del sistema universitario, non sono utili né slogan massimalisti né rimedi taumaturgici.


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