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Il giorno di chi non è più invisibile

Dai tetti abbiamo visto qualcosa di straordinario. Studenti, ricercatori e ricercatori precari finalmente visibili e incontenibili

30/11/2010
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il manifesto

Francesca Coin
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Dai tetti abbiamo visto qualcosa di straordinario. Studenti, ricercatori e ricercatori precari finalmente visibili e incontenibili. E' il risultato di un processo di mobilitazione appassionato durato mesi. Febbricitanti arrivano messaggi di nuovi tetti occupati, quelli che ribadiscono una testimonianza di affetto, gli articoli simpatizzanti della stampa estera, le notizie del nuovo striscione sulla Cupola del Brunelleschi o sulla Basilica di San Marco. Occupando i monumenti, gli studenti si sono riappropriati dei luoghi della cultura, rivitalizzato il patrimonio storico italiano, ricordando che sono tutti spazi vivi. E vivi vanno mantenuti, non lasciati cadere in macerie come la domus dei gladiatori di Pompei. Oggi, in tutta Italia, due generazioni diranno «no» alla privatizzazione del futuro.
È stato un lavoro complesso quello di questi mesi. Più che complesso, per diverse ragioni. La prima dipende dal fatto che il luogo dove è iniziata la mobilitazione è l'università, tradizionalmente uno spazio che non è di dialogo trasversale, ma di privilegio e gerarchia. La seconda ragione è che un luogo così rigidamente strutturato, e tuttavia ricco di potenziale, oggi è in un declino che impone un ripensamento accelerato dell'intero sistema universitario e del ruolo dei ricercatori. La precarizzazione dell'università ha messo in luce tantissimi nodi: il ripiegamento degli atenei su se stessi, l'omertà, la solitudine di una generazione di studenti trasformati in clienti e schiacciati da una classe politica sorda alle loro potenzialità. In questi mesi sollevare il velo dell'omertà universitaria è stato come sollevare un tessuto di piombo sotto il quale proliferano inerzie ed autoritarismi sino ad oggi soffocati dall'accettazione.
Nell'ultima settimana il velo è stato sollevato da un'infinità meravigliosa di mani. L'assemblea della Conferenza dei Rettori si è spaccata, dopo avere chiesto al suo presidente Decleva di non sostenere pubblicamente il disegno di legge Gelmini. I rettori di Sassari e di Cagliari hanno sottoscritto un documento a sostegno delle mobilitazioni. Le voci di dissenso di docenti associati e ordinari hanno cominciato a moltiplicarsi. Una lettera di Saverio Giulini, professore ordinario di matematica all'università di Genova, ha espresso l'indignazione contro un «testo pasticciato» che «può essere chiamato con tanti nomi, ma non è sicuramente una riforma». Sincronicamente negli ultimi giorni è confluita una moltitudine di movimenti diversi che ha costellato le piazze italiane, permettendo a bocche troppo a lungo chiuse di ritrovare il piacere della libertà di parola.
Ci sarebbero tante cose da dire, ma le priorità a questo punto sono due. Primo: oggi riprende la discussione del Ddl Gelmini alla Camera. Si vocifera di un'approvazione rapida, come però lo si fa da mesi. L'altra data importante è il 14 dicembre, momento in cui verrà deciso quale salvagente dare (o meno) a questo governo. Queste sono le due date certe. Poi cominciano i se: se il ddl passa, se il governo ottiene la fiducia, se il governo non ottiene la fiducia. In tutte queste ipotesi si apre una rosa di possibilità diverse. Ma questa lunga lista di possibilità ha un significato importante, perché a questo punto è marginale fare speculazioni per capire dove cadrà l'ago della bilancia.
L'incertezza del governo ha dimostrato che a guidare le scelte di questa classe politica non è più l'etica, ma qualcosa che non ci rappresenta. L'esplosione di dignità, di intelligenza e di passione dell'ultima settimana ci dice che, insieme, abbiamo il potenziale necessario per un capolavoro. Dai piani alti in questi giorni ci hanno detto che il movimento è diviso, che ci sono studenti buoni e cattivi, ricercatori simpatici ed antipatici, precari belli e brutti. Questa divisione è una mistificazione che non ci appartiene. I ricercatori sono stati studenti e sono stati precari. Gli studenti ci auguriamo che precari non saranno mai. Abbiamo tutti insieme diritto ad un futuro, non solo dignitoso ma felice. La diversità espressa nelle piazze in questi giorni non è un limite, ma è una forza. È una nuova dimostrazione dell'intelligenza viva e creativa che genera parole di libertà contro la soffocante uniformità del pensiero unico.
Poco importa allora ciò che sarà del governo. L'importante è che abbiamo innescato tutti insieme un processo in grado di ricucire un tessuto sociale lacerato. Questo processo si batte con onestà per un diritto imprescindibile. Stiamo risvegliando la speranza e la solidarietà attiva in tutta la società.
*ricercatrice Università Cà Foscari Venezia, rete 29 Aprile
 


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