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Fuoriregistro-Crisi Fiat e riforma della scuola, ovvero assenza di soggettività - di A.Limonciello

Crisi Fiat e riforma della scuola, ovvero assenza di soggettività di Antonio Limonciello - 09-11-2002 L'Italia ha avuto dal dopoguerra grandi storie industriali riuscendo a primeggiare in Eu...

09/11/2002
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Fuoriregistro

Crisi Fiat e riforma della scuola, ovvero assenza di soggettività
di Antonio Limonciello - 09-11-2002

L'Italia ha avuto dal dopoguerra grandi storie industriali riuscendo a primeggiare in Europa in diversi settori. L'elettronica della Olivetti, la grande chimica, la siderurgia, la stessa Fiat che si batteva per il primato europeo con la Volkswagen.

Ora la crisi Fiat ci fa improvvisamente scoprire che l'Italia non ha piu' una vera e propria strategia industriale.
Dunque fino agli anni 50 eravamo un paese contadino, fino alla fine degli anni 80 un paese industriale, ed ora? E nel futuro?
Come potrebbe oggi definirsi l'Italia dal punto di vista delle caratteristiche produttive?
Non siamo certo il paese che produce la merce a piu' alto valore aggiunto, la merce "idee", ne' siamo produttori di sistemi complessi, pacchetti chiavi in mano di alta sofisticazione, no, non lo siamo.
E non lo siamo perche' l'Italia investe l'1% per la ricerca, la Francia il 2,5%, la Germania il 3%, gli USA il 6%, il Giappone il 12%.
Nel 2000 l'Italia ha importato circa 12-13.000 brevetti, mentre ne ha prodotti 8-9.000, pochissimi dei quali esportati.
Dunque l'Italia e' come un paese del terzo mondo in quanto esporta materie prime (i cervelli) ed importa brevetti.

D'altra parte le % di PIL impegnate per la scuola rispecchiano piu' o meno gli stessi rapporti, quindi, e' tutta la societa' italiana che non si dota di strumenti idonei a costituire un tessuto sociale ad alto contenuto di sapere e ad alta capacita' di interagire in sistemi a reti complesse e coperative.
Non saremo piu' neanche un paese industriale?
Intanto e' bene ricordare che gli esperti ci fanno sapere che nonostante il processo di dematerializzazione, nonostante la societa' dell'informazione, la produzione industriale sara' fondamentale per almeno tutto il XXI secolo.
D'altra parte c'e' produzione industriale e produzione industriale, come dimostrano paesi quali Germania, Giappone e Stati Uniti.

Ancora una volta il problema riguarda la ricerca:
per esempio la ricerca Fiat costa 638 euro per ogni veicolo prodotto, mentre per Bmw, Volkswagen o
Mercedes il costo è di 1634 euro.
La crisi dei modelli Fiat immessi sul mercato negli ultimi anni e' in gran parte da ricercare in questo dato.
Si sta investendo o si sta smantellando l'Italia, e se si sta investendo, in che futuro lo si sta facendo?
Mettendo insieme i dati di cui sopra con:
- il modello industriale piu' recente, ovvero le aziende del Nord-est
- la linea della Confindustria che ha portato D'Amato alla presidenza degli industriali italiani
- i documenti programmatici e le finanziarie di Berlusconi
la conclusione e' che il nostro paese si sta attrezzando per un futuro di competitore con i "sistema paese" del terzo mondo.

Basso investimento in ricerca, basso investimento nell'istruzione, portano necessariamente a prodotti a basso know-how, gli stessi che sono realizzabili dai paesi emergenti del terzo mondo.
Questa strategia ha necessita' di sempre piu' bassi salari come unico modo per abbassare i costi di produzione.
L'abbassamento dei salari si realizza con sempre piu' immigrazione, perche' questa e' disposta a lavorare in ambienti degradati e con stipendi da fame, ma anche perche' essa viene usata per costringere gli italiani ad accettare le stesse condizioni.

Il cerchio si chiude se si pensa all'abbassamento dei budget per tutte le forme di ricerca nel campo delle varie espressioni della cultura del paese (cos'altro sarebbe il concetto di finanziare progetti capaci di incontrare il favore del mercato?).
In questi mesi piu' volte i ricercatori, i piu' prestigiosi istituti nazionali di ricerca, il mondo della cultura hanno cercato di valicare il muro del silenzio eretto dall'informazione nazionale, invano.
E siccome gli addetti sono pochi e il "popolo" neanche sa di che si parla, insomma siccome non si spostano percentuali significative di consenso, possiamo scommettere che il grido di Bianchi, presidente del CNR, restera' inascoltato.

Se questo e' il quadro delle scelte strategiche nel campo della produzione, dell'economia e della cultura, quale scuola per il nostro paese?
Per una riforma della scuola, ci vuole si la pedagogia, ci vuole pure la psicologia, ma si deve anche avere un'idea di se, di cio' che si e' e di cosa si pensa di essere in futuro.
E' cos'e' l'Italia oggi e cosa si pensa debba essere domani?
Pare che i dubbi siano solo se essere una provincia americana o una provincia europea.

Intanto nel breve periodo c'e' da fare un discorso generale molto serio che rischiamo di pagare pesantemente nel futuro.
Oggi assistiamo a una inadeguatezza di una gravità inaudita: proprio per l'assurdita' delle promesse fatte, questo governo non e' in grado oggi di cambiare in corsa, non e' in grado di mettere in atto quello scatto che stanno producendo la Francia, di destra, e la Germania, di sinistra. Quindi siamo costretti, dalle balle dei miracoli, a non mettere in moto alcun processo virtuoso, anzi dissiperemo l'avvio di risanamento del vecchio governo, mentre la gravita' della crisi richiederebbe tutto un popolo consapevole, chiamato a partecipare a un processo di accumulazione di risorse.
Qui si pensa al mercato come un ente trascendente, esso infatti a prescindere risolvera' tutti mali del mondo, e lo stiamo vedendo tutti come.
Possibile che questi economisti che nelle aziende sono perfetti quando arrivano al servizio dello stato le sbagliano tutte, ma proprio tutte, e non del 10-20%: la finanziaria 2002 prevedeva entrate in rapporto a un aumento del PIL del 3%(le torri erano gia' cadute
e la guerra all'Afganistan si stava gia' facendo), ebbene alla fine la crescita sara' dello 0,5%, cioe' un errore del 600%!!!
Ma vi rendete conto cosa sarebbe successo a questi ministri se stessero dirigendo un'azienda anziche' lo stato?
Ed e' credibile l'errore. No, non hanno sbagliato, hanno mentito, hanno messo previsioni che sapevano essere false per poter giustificare le spese
che avevano messo in programma e i tagli delle tasse, ecco come si passa dall'1,4% di deficit al 2,1%, dicono, e non e' detto che non sara' il 3%!
E chi paga? Noi, signori, noi lavoratori dipendenti.
Verrebbe da dire, che si applica anche qui lo stesso principio di maggioranza che ovunque si invoca? Cioe' che si fa pagare solo ai cittadini che hanno votato le balle elettorali?
Guardate la faccia della Moratti, e' tutto in quel viso, lei sa cosa significa la finanziaria, sa cosa significa ristrutturare un'azienda, quindi, per analogia, sa cosa vuol dire mettere in moto un processo di vera riforma
della scuola.
Non ci saranno vere riforme perche' i tagli alla scuola non servono a mettere in moto un processo di accumulazione di risorse per investimenti scolastici, sono risparmi di cassa e basta, la Moratti sa benissimo che quando c'e' una crisi si deve investire, si ricapitalizza (la Fiat, appunto, avrebbe bisogno di 7-8 miliardi di euro da investire).
Come ci si puo' appassionare a discorsi di riforma destinati a restare tempo da attraversare, e che se anche dovessero diventare fatti andrebbero a
cadere in un deserto sociale, in navi senza approdi?

Ora si potrebbe dire che le idee ci sono e precisamente si pensa a una societa' allungata verticalmente e tutta percorribile,minori protezioni e
maggiore mobilita', dall'estremo degrado di tutte le clandestinità agli sfarzi e alle volgari sontuosita' di sua emittenza. Una societa' sospesa che attende di conoscere l'approdo (ma ci sara' mai?) dopo la fine del moderno e del postmoderno, quindi una scuola che non si chiude, ne' sui contenuti, ne' sui tempi e i luoghi dello studio, giacche' qualsiasi chiusura sarebbe troppo fragile, troppo esposta all'inutilita' (dove utilita' non e' semplicistico riferimento ai processi produttivi).
E' la riforma che si sta discutendo utile strumento per questo tipo di societa'?
Ma e' questa la societa' che vogliamo?
Per esempio io no.
Come si puo' allora discutere di riforma senza porsi il problema di definire cosa siamo e cosa vogliamo essere?
Con quali strumenti garantiremo alle future generazioni luoghi dove dotarsi dei mezzi per "divenire ed essere", luoghi di costruzione e difesa di soggettività nell'era dell'Impero, della biopolitica che tutto sussume?

Infine un cenno al percorso per un processo di riforma.
Personalmente, per le ragioni di cui sopra, non mi sono scaldato piu' di tanto alla notizia di tentativi di dialogo tra maggioranza ed opposizione sul tema della riforma, anzi, non solo penso che la riforma non si fara', ma penso pure che il paese abbia altre urgenze, la prima e' quella di "liberarsi", sì, prima si libera e prima puo' cominciare a porsi i problemi sul serio.
Se l'Italia fosse un paese normale non mi scandalizzerei che un processo di riforma fosse un processo costruito tenendo conto di tutta la societa' e non di una parte sola (e' ovvio, nelle sedi istituzionali e non in sciaquettamenti da bar), anzi lo auspicherei; solo una riforma così radicata avrebbe la forza di un'ancora sicura nei tempi veloci che ci attendono.
Ma noi non siamo tanto normali, e, purtroppo, neanche tanto maturi


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