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Contributo volontario, quella «tassa» imposta dalle scuole alle famiglie

Il ministro Giannini stanzia 50 milioni in più per le spese di funzionamento e chiarisce: non deve essere una vessazione. Ma le scuole: non possiamo farne senza

12/01/2015
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Corriere della sera

Valentina Santarpia

C’è chi non usa mezzi termini, come il liceo Majorana di Latina: «Il contributo volontario, detraibile Legge n. 40/2007 (Decreto Bersani) art. 13, è indispensabile per il miglioramento dell’offerta formativa e della qualità del servizio offerti dalle istituzioni scolastiche e in questa congiuntura economica nessun istituto è nelle condizioni di poterne fare a meno», specifica sul suo sito. C’è chi invece mette le mani avanti, per prevenire qualsiasi obiezione: «E’ opportuno ricordare che il versamento da parte delle famiglie del contributo in oggetto non essendo stabilito da norma di legge non è obbligatorio, ma è atto volontario da parte delle famiglie stesse», chiarisce il liceo Cristoforo Colombo di Genova. «Peraltro la richiesta di un contributo finanziario da parte delle Istituzioni Scolastiche è pienamente legittima», sostiene, snocciolando riferimenti legislativi e precisando come vengono utilizzati gli 85 euro sbordati quest’anno. Ma la sostanza resta la stessa: le scuole continuano a chiedere ogni anno alle famiglie una cifra – che vai dai 50 ai 200 euro – per sostenere le spese di gestione e le attività integrative degli studenti. Soldi che vengono spesi per le esigenze più diverse: dai lavoretti di manutenzione alle fotocopie, dai progetti integrativi al funzionamento dei laboratori, dalla carta igienica ai colori, dagli armadietti alle risme di carta. E chi non paga, rischia l’isolamento e la diffidenza degli altri genitori. Ma è giusto? E la richiesta non può essere arginata?

I 50 milioni in più dal Miur

«Stiamo per inviare 50 milioni aggiuntivi per le spese di funzionamento di quest’anno», twitta il ministro Stefania Giannini. Attualmente il fondo è di 110 milioni, e viene quindi portato a 160 proprio per prevenire le richieste e le esigenze alle famiglie e arginare il fenomeno, che spesso assume contorni imbarazzanti, con presidi che impongono veri e propri balzelli, iscrizioni condizionate al pagamento di «tasse» extra, prof che sostengono di non poter lavorare senza le risorse in più. «Ritengo che il contributo volontario non possa essere una vessazione per le famiglie –spiega il ministro – I 50 milioni che abbiamo destinato alle scuole servono per rendere il contributo chiesto ai genitori un “ contributo” a spese di qualità». Il Miur sta cercando di stanziare anche contributi aggiuntivi per i laboratori, per evitare che il loro corretto funzionamento sia strettamente condizionato dai fondi a disposizione. «L’ordinaria amministrazione, dal toner alla carta igienica, deve essere a carico nostro», sottolinea ancora Giannini. Ma non è detto che basti: perché, oltre all’effettiva mancanza di risorse con cui le scuole si trovano ogni anno a fronteggiare i bilanci, esiste la questione dei paletti da mettere al contributo richiesto alle famiglie.

Il ginepraio delle norme

Ci ha provato la cosiddetta circolare Stellacci, firmata dall’allora capo dipartimento, in cui nella primavera del 2013 venivano prese in considerazione le «numerose segnalazioni di irregolarità e abusi» nella richiesta dei contributi scolastici, e si ricordava il principio dell’obbligatorietà e gratuità dell’istruzione previsto dall’articolo 34 della Costituzione. «Nessuna ulteriore capacità impositiva viene riconosciuta dall’ordinamento a favore delle istituzioni scolastiche, pur potendo deliberare la richiesta alle famiglie di contributi di natura volontaria, non trovano però in nessuna norma la fonte di un vero e proprio potere di imposizione che legittimi la pretesa di un versamento obbligatorio di tali contributi», specifica la circolare. Il concetto viene chiarito così: oltre alle tasse erariali e a quanto strettamente necessario per il rimborso sostenuto dalle scuole per conto delle famiglie, il contributo extra può essere richiesto soltanto come «erogazione liberale con cui le famiglie, con spirito collaborativo e nella massima trasparenza, partecipano al miglioramento dell’offerta formativa e al suo ampliamento al di là dei servizi essenziali». Di fatto, va bene che per l’autonomia scolastica gli istituti integrino le proprie attività grazie al contributo dei genitori degli studenti, ma il tutto dovrebbe avvenire in un clima di reciproca collaborazione. E non assumere i toni della minaccia o del ricatto, ma nemmeno dell’imposizione. «Chiedo collaborazione alle scuole e agli uffici scolastici regionali- avverte il ministro dell’Istruzione – Il Miur, senza inutili demagogie, vigilerà su ogni situazione».

Lo stato di fatto

Ma ormai tutte le scuole adottano una formula generalizzata, che permette loro di non violare alcuna disposizione, pur di fatto imponendo alle famiglie il contributo in più: specificando che la somma da versare è assolutamente volontaria, ricordano però che le norme che vietavano esplicitamente il contributo delle famiglie sono state abrogate e che quindi, come scrive l’istituto statale Europa di Faenza: «Se ne può dedurre che il legislatore dell’autonomia, avendo deciso di eliminare il divieto esplicito, prima valevole nelle scuole elementari e medie, di prevedere contributi, abbia inteso rimettere a tutte le tipologie di scuola la facoltà di deliberare e di richiedere alle famiglie il versamento di contributi volontari annuali ed abbia regolato esplicitamente le modalità contabili di «riscossione» di contributi». E quindi, ecco la disposizione: «Il contributo può esser versato entro e non oltre…», con tanto di data specifica entro la quale effettuare il bonifico. Unica, magra consolazione: almeno le somme versate potranno essere dedotte dalla dichiarazione dei redditi, nella misura del 19%. Ma, attenzione: come specifica la circolare dell’Agenzia delle entrate dedicata all’argomento, la detrazione «spetta a condizione che il versamento di tali erogazioni sia eseguito tramite banca o ufficio postale ovvero mediante carte di debito, di credito e prepagate, assegni bancari e circolari ovvero mediante altri sistemi di pagamento». Dovendo pagare, quindi, meglio pretendere di farlo con un mezzo ufficiale (niente contanti passati senza certificazioni di mano in mano) e tirare fuori la ricevuta al momento opportuno.


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