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Cervelli in fuga perchè "espulsi" dall'Università. I dati Cgil: "Solo il 6% dei ricercatori è assunto"

La Flc Cgil presenta il rapporto Ricercarsi. Precarietà più che raddoppiata negli ultimi dieci anni. Allarme per gli effetti della riforma Gelmini a partire dal primo gennaio 2015

05/12/2014
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la Repubblica

Di Carmine Saviano
Per capire la condizione precaria dell’Università e della ricerca bisogna partire dai numeri. E da una prospettiva di almeno dieci anni. Disegnare i confini della svalutazione di Stato della conoscenza. Dal 2004 a oggi la percentuale degli “espulsi” dal sistema universitario è del 93,3%. Questo significa che su 100 ricercatori che entrano nel mondo della ricerca ad essere assunti sono solo sei. E nel 2014 l’Università italiana ha perso per strada 2183 tra docenti e ricercatori mentre gli assegni di ricerca attivati annualmente sono passati da circa 6000 nel 2004 ai 14.000 di oggi. Meno posti, più precari. Sono questi alcuni dei dati raccolti dalla Flc Cgil, presentati nel rapporto Ricercarsi, l’indagine del sindacato sul precariato universitario. Numeri che confermano le preoccupazioni di ricercatori e professori ospitati su Repubblica.it: il futuro della ricerca italiana non esiste.

E non si tratta di un fotogramma statico. Ma del prequel di una catastrofe: questo perché il 1° gennaio del 2015 è una data segnata in rosso per tutti, ma soprattutto per i ricercatori italiani. Quel giorno, infatti, scadono numerosi assegni di ricerca che devono sottostare al regime creato dalla riforma Gelmini nel 2011, una legge che prevede che questo tipo di contratto sia rinnovabile solo per quattro anni. Anche per questi ricercatori, quindi, la strada sembra essere una e una soltanto: l’espulsione dal mondo accademico. E lo stesso problema si porrà il prossimo anno per i contratti da ricercatore a tempo determinato di tipo A per cui arriveranno a scadenza i 5 anni, previsti sempre dalla legge 240/10, senza che ci siano reali possibilità di ingresso stabile nell'Università.
Quindi, prepariamoci a un esodo di massa, a un tempo in cui essere un “cervello in fuga” non sarà uno status isolato, ma sarà l’etichetta indelebile scritta sulla pelle di ogni ricercatore italiano. Già oggi infatti oltre il 60% dei ricercatori italiani – secondo i dati che la Flc Cgil ha raccolto durante la preparazione di Ricercarsi – ha la propensione ad andare via dall’Italia.
Propensione che sta per diventare una certezza quasi certificata dalle ultime misure del governo Renzi. Si tratta del comma 98 dell’articolo 2 della Legge di Stabilità. Ecco cosa succede: attualmente il numero e il tipo di docenti di ciascun ateneo viene determinato in base ai punti organico. Un punto per un ordinario, 0,7 per un associato, 0,5 per il ricercatore di tipo A (cinque anni non rinnovabili), 0,7 per un ricercatore di tipo B (tre anni con conversione in ruolo di associato). Quando un docente va in pensione, i punti organico corrispondenti tornano al dipartimento di appartenenza  che decide come reinvestirli. Ad oggi, per ogni posto da ordinario, si è obbligati a bandire anche un posto per ricercatore di tipo B, per garantire almeno un minimo di assunzioni a tempo indeterminato.

 E il punto, per la Flc Cgil, è questo. Perché “proprio su questo interviene la legge di stabilità eliminando il vincolo di attivazione di un ricercatore a tempo determinato di tipo B (l'unico con prospettiva di stabilizzazione) a fronte dell’assunzione di un nuovo ordinario”. In definitiva, se il comma verrà approvato ogni volta che si bandirà un posto da ordinario, per essere in regola basterà assumere un ricercatore di Tipo A a scadenza breve.

La cura? La risposta è ovvia: più investimenti e più risorse. E le proposte del sindacato partono da breve periodo. Nel rapporto Ricercarsi si legge: “è indispensabile superare il limite temporale dei 4 anni per gli assegni di ricerca e quello dei 5 anni per i ricercatori a tempo determinato di tipo A fino alla definizione di un nuovo sistema di reclutamento e con l'impegno da parte del Governo a finanziare subito nuove assunzioni a tempo indeterminato, che permettano di salvare l'Università”.

In prospettiva, secondo il sindacato, bisogna avviare un profondo “ripensamento del sistema di reclutamento”. Partendo dalla revisione delle “figure a cavallo tra il dottorato di ricerca/specializzazione e l’accesso al ruolo della docenza”. Ovvero: eliminando il contratto di assegno di ricerca, senza diritti né tutele, l’assurda divisione in ricercatori di tipo “A” e “B”. Fino ad arrivare a un grande piano di assunzioni per posti stabili che consenta “di invertire questa distruttiva tendenza: il problema dei precari è oggi il problema della tenuta del sistema universitario”.

Le proposte. Infine, le richieste del sindacato. Domenico Pantaleo, segretario della Flc Cgil: "I 150 milioni previsti nel DDL di stabilità per la premialità devono invece servire al rifinanziamento del fondo ordinario delle università vincolandone una quota alle  assunzioni ed eliminando gli assurdi vincoli fissati per il reclutamento stesso da leggi e circolari". Poi il superamento del vincolo che lega al primo gennaio la scadenza degli assegni di ricerca. Ancora: "E' anche necessario eliminare dal DDL di stabilità  il comma che cancella il vincolo di attivazione di contratti a tempo determinato con prospettiva di stabilizzazione. Misura che incoraggerebbe un'ulteriore e definitiva precarizzazione dell'Università con pesantissime ripercussioni sulla qualità della ricerca e della didattica".


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