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Caro Lacava, non si riesce dare un futuro alla ricerca. Ma non per colpa di quella legge

di Eugenio Mazzarella

03/12/2014
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la Repubblica

La lettera a Repubblica, con cui Cosimo Lacava, ricercatore di optoelettronica in Inghilterra, si rivolge al Presidente Napolitano, chiedendogli perché in Italia chi si avvia alla ricerca debba restare precario a vita, pone questioni essenziali per il futuro della ricerca nel nostro Paese. E non tanto nel punto di merito che prende in considerazione  -  l'abolizione nella legge di stabilità del vincolo per gli atenei di chiamare contestualmente a un professore ordinario un ricercatore a tempo determinato della tipologia b), della tipologia cioè che consente in tre anni di rapporto di lavoro, se il ricercatore consegua l'abilitazione nazionale, la chiamata nei ruoli di professore associato  - , ma per le considerazioni a latere che svolge.

Il punto di merito, in effetti, manca il bersaglio, perché la norma approvata in legge di Stabilità elimina un vincolo che ingessava per gli atenei la possibilità di chiamare ricercatori universitari a tempo determinato, vincolandoli ad una tipologia (i ricercatori di tipo b) che presuppone non solo risorse che in questo momento non sono presenti negli atenei, ma anche una platea di fruitori in buona parte in via di formazione, cioè sostanzialmente gli attuali ricercatori di tipologia a a tempo determinato, senza impegno di assunzione in caso di abilitazione. Per dire, da quello che capisco dal suo curriculum, il dott. Lacava, dottore di ricerca da un anno, non potrebbe partecipare a un bando di ricercatore di tipologia b).

Il punto vero è un altro, che emerge dalle considerazioni generali del dott. Lacava: il definanziamento dell'università in Italia. Per assorbire i nostri ricercatori, ed attrarne dall'estero  -  senza formarli al costo unitario di 500.000 contabilizzato da Lacava, e "cederli" gratis sul mercato internazionale, in una "bilancia commerciale" della ricerca, mi si passi la brutta espressione, per l'Italia tutta in rosso  -  ci sarebbe bisogno di rifinanziare ad hoc il piano di assunzioni di professori associati, in modo da assorbire abilitati al ruolo non strutturati, senza la lesina attuale che mette gli atenei davanti alla scelta di dover scegliere tra una legittima aspettativa di carriera interna di un ricercatore già di ruolo e un'altrettanto legittima aspettativa di ingresso di nuove energie non ancora strutturate. Insomma il punto vero sono le risorse, e un piano di sviluppo degli atenei che porti gli organici di ruolo da qui a cinque/dieci anni a 65mila almeno professori di ruolo tra ordinari e associati, usando la fascia dei ricercatori a tempo determinato come fucina di formazione (finanziata in modo congruo) per quei ruoli.

Dico questa cifra, perché all'inizio della legislatura che ha partorito la legge Gelmini, quello era il numero dei ruoli nelle tre fasce (ordinari, associati, ricercatori), che, per le dinamiche della legge e per i tagli finanziari che ne hanno accompagnato l'attuazione, realizzerà da qui al 2020 un organico di ruolo degli atenei ridotto ai due terzi della cifra richiamata, cioè la pura e semplice precarizzazione di chi entrerà in quello che una volta era il ruolo dei ricercatori ed oggi è un contratto a tempo determinato. Solo un rifinanziamento strutturale ed orientato degli atenei metterà l'università italiana in linea con gli standard europei, e risponderà in positivo alla domanda del dott. Lacava.

l'autore è ordinario nell'Università Federico II
Già deputato nelle XVI legislatura nella commissione cultura scienza e istruzione  della Camera


 

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