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Aprileonline: Quei magistrati sgrammaticati

Il recente concorso per la categoria, che ha registrato numerosi errori di ortografia da parte dei candidati, riapre la questione riguardante l'istruzione di base nel nostro paese, ma anche i sistemi obbligati di alfabetizazione contemporanea

08/01/2008
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Aprileonline

Alba Sasso,
Il recente concorso per la categoria, che ha registrato numerosi errori di ortografia da parte dei candidati, riapre la questione riguardante l'istruzione di base nel nostro paese, ma anche i sistemi obbligati di alfabetizazione contemporanea, che privilegiando la scrittura della rete non garantisce più i canoni tradizionali, e indispensabili, di apprendimento

Dunque la novità è che gli aspiranti magistrati non conoscono la grammatica. O per lo meno alcuni di loro, che pare abbiano consegnato degli elaborati infarciti di pesanti strafalcioni. Questo, stando alle cronache di questi giorni, e al netto di possibili verifiche o statistiche. Resta il problema di un uso della lingua italiana sempre più disinvolto, sempre più spesso ignaro di regole e codifiche. Deduzioni? I limiti della scuola, certamente. Non è da oggi che il mondo della scuola, degli insegnanti in particolare, si batte per restituire all'istituzione il prestigio perso, nel tentativo di riportarla al centro del processo di formazione del cittadino, della sua piena alfabetizzazione. E non è da oggi che in molti denunciamo i limiti anche di questi sforzi, spesso isolati e affidati alla sola buona volontà. Manca un reale collegamento scuola-famiglia, e troppo spesso si sorvola su metodiche e procedure di apprendimento che, nel corso di decenni, hanno comunque dimostrato di funzionare. Ma queste considerazioni non possono allontanarci da una riflessione più generale: la vicenda del concorso per la magistratura mostra crepe ancor più preoccupanti.

Stiamo parlando di un segmento sociale alto, di persone che escono da studi impegnativi, per le quali si darebbe per scontata una piena formazione della lingua e di quella che si chiamava cultura generale. Evidentemente non è così. Quello che preoccupa non è che un aspirante magistrato si esprima in un italiano a volte "irregolare". Capita ogni giorno, e dalla pratica non sono esenti ministri e parlamentari, giudici e scienziati, perfino giornalisti e scrittori. C'è qualcosa di più, sulla quale occorrerà indagare e studiare senza fermarsi a impressioni sommarie. E bisognerà anche indagare sugli effetti di culture sempre più specialistiche e settoriali. Sul fatto che si legge sempre di meno. È la passione per la lettura in sé, che sta scomparendo: il piacere della scoperta di un autore, di un libro, la curiosità del conoscere, al di là delle proprie esigenze di settore.

Troppo facile sparare, ancora e sempre, sulla scuola. È forse il sistema di formazione della cultura, delle culture, ad essere in crisi. La connessione fra vecchio e nuovo, il rapporto fra il libro e la rete, per dire, lungi dall'aver rappresentato un salto di qualità e di opportunità, si sta rivelando sempre di più un limite, per l'incapacità di gestire ed organizzare il cambiamento: la globalizzazione del sapere richiede in realtà fantasia e conoscenze cosmopolite, tutto il contrario del rinchiudersi nell'orizzonte angusto del proprio recinto professionale. Questo segnale d'allarme lanciato dal giudice di Palermo che ha sollevato il problema ci deve aiutare a riflettere, a leggere meglio quanto sta accadendo rispetto al livello culturale del paese. A prendere contromisure adeguate. E a farlo piuttosto in fretta.


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