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AprileOnLine: "Non isperate mai veder lo cielo"

Walter Tocci, responsabile "Università e Ricerca" dei DS, si è dimesso: ed è un problema di metodo e di merito

25/11/2006
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Aprileonline

Dibattito

Marina Montacutelli

Walter Tocci, responsabile "Università e Ricerca" dei DS, si è dimesso: ed è un problema di metodo e di merito, che ci riguarda tutti. Il metodo è nuovo, di una politica che torna all'agorà ossia il confronto che stimola la voglia di partecipare. Ma è anche un problema di merito: avevate detto che la ricerca e l'alta formazione sono la gallina dalle uova d'oro di un Paese che annaspa e - quasi - affoga e tenuto insieme all'incirca per pietà. Invece...

Walter Tocci, responsabile "Università e ricerca" dei Democratici di Sinistra, si è dimesso dal proprio incarico. Nulla di eccezionale, se non fosse per le motivazioni: stupito per l'imperizia, la tracotanza, la superficialità di un Governo che "procede a vista, dando retta all'ultimo che parla senza una visione razionale dei cambiamenti che occorre apportare"; addolorato per la presenza, nella "legge finanziaria", di una "sostanziale mancanza di logica"che non può che costringere (e ben più dei problemi di bilancio) a voti che blindano impedendo persino la banalissima correzione di errori tecnici ("non abbiamo avuto fortuna neanche come correttori di bozze"), chi conosce ancora la dignità personale e (forse, soprattutto) l'importanza di una Politica cui sia estranea ogni logica meramente immanente, non può che "rimettere" il proprio mandato.
Chapeau, Walter: in questi anni, i ricercatori italiani - e di ogni "parte", come attestano i messaggi che ovunque si leggono e le raccolte di firme e gli appelli che ti chiedono di ripensarci, che chiedono al tuo partito e al governo di metterti nelle condizioni di ripensarci - hanno conosciuto e apprezzato il tuo lavoro, il tuo stile, il tuo impegno, la tua coerenza. Ora sommessamente gridi - e ricordi - che esiste anche la dignità: quella personale. E quella del "lavoratore" della politica, che è cosa assai diversa dal politicante.
Ma non è una questione personale e di persone; e neanche di incarichi o di poltrone che vanno e vengono, di "divide et impera" o - peggio - di "promoveatur ut amoveatur" (o viceversa: che sia o possa essere). E nemmeno solo interna al maggior partito della sinistra nonché di governo. E', piuttosto, una questione di metodo e di merito.

Di Walter Tocci, oggi, stupisce e si apprezza in primo luogo il metodo: che apertamente spiega; ma poi, anche, altrettanto apertamente critica: perché il medico pietoso fa la piaga puzzolente; perché i panni sporchi che si lavano in casa - se pure esiste ancora una casa, se pure è possibile l'esistenza di una casa per panni così sporchi - non possono obnubilare l'idea che è tempo che la politica torni a conoscere l'agorà, ossia il confronto che stimola la voglia di partecipare e di esserci. Perché è tempo che la politica - se vuol continuare ad esserci - torni a se stessa.
E ci sono segnali piccoli e grandi, in questi giorni, che ci ricordano (anche) che la democrazia deve essere - nelle organizzazioni sia politiche che sindacali - apertamente liquida per non liquefarsi; apertamente conflittuale, se non si vuole il rivendicarsi o l'esigere dei diritti sbattendo i piedi, trasformandoli in privilegi di corporazione, di clientela o di chi grida più degli altri.
Il nuovo metodo implica, forse, l'avere una casa.
Ma, intanto, dobbiamo pensare ai panni e a come lavarli: apertamente, e nell'agorà; laicamente parlandone: per non risolvere, affidandosi a una libera contrattazione del suq che non può che produrre un vociare persistente e insistente, scelte contraddittorie ed effimere; smarrimento, delusione, panico: degli elettori e (ahimè) pure dei capitali.

E poi c'è il merito, e mi chiedo e chiedo che cosa stia succedendo: perché non capisco. Ci avevate promesso un futuro: avevate detto che la ricerca e l'alta formazione sono la gallina dalle uova d'oro di un Paese che annaspa e - quasi - affoga e tenuto insieme per pietà o forse compatibilità internazionali. Che, qualunque fosse la sopportabilità e la soglia di bilancio, i manuali di economia elementare li avevate sfogliati ed avevate imparato la differenza tra spesa e investimenti e sapevate distinguere. Non osavamo sperare, dopo il sale del cavaliere di Arcore e dei suoi palafrenieri e lacchè, l'Eldorado: sommessamente, solo un lento ritorno alla normalità. O l'avvicinamento a un "paese normale": chissà che vuol dire, ci chiediamo ora.
Constatiamo: un vergognoso mercimonio; una sconfortante incompetenza e un'imbarazzante ignoranza (dov'è il personale politico?); un trattarci da utili idioti; proposte che non producono nemmeno il sollievo di bilancio ma, piuttosto, altre spese e nuovi carrozzoni - che siano a pallini o a righine tutto sommato è e resta risibile problema - invece di soldi pei laboratori; il trattare istituzioni ormai ridotte allo stato larvale alla stregua di aziende bisognose di ristrutturazione e forsanche di riconversione del personale. Un'incapacità di comprendere finanche l'alfabeto del consenso: ché il futuro non germoglia innestandolo sui polloni.

"Palla", verrebbe da dire prendendo a prestito dal Nanni nazionale: se dovesse parlare, oggi forse direbbe: "Con questi qui, forse quasi è meglio non vincere". E' peggiore infatti la sconfitta, l'ignoranza o la malafede?
"Palla", e ventiquattromila voti cioè all'incirca un isolato (Deaglio ci permetta, al momento): il problema del consenso è una cosa seria. Vi siete accorti che la ricerca non solo semina futuro ma fa germogliare - oggi - la speranza? E che unicamente la speranza può restarci, ridotti agli stracci quali siamo?
Ci resta solo il raccoglier sms, metter banchetti e vender piantine o abbiamo ancora voglia di Stato? Soprattutto, spiegateci e spiegate al Paese perché per la ricerca privata si conosce il cuneo (e dunque la fate incuneare, sospetto con dubbi risultati), mentre per il pubblico lo strumento è solo - e come sempre -l'accetta, e pure accompagnata dal diserbante. Spiegateci e spiegate perché, per la ricerca pubblica, si sia scelto di percorrere una strada che ha condotto il sindacato e i lavoratori a uno sciopero; a rendere un ministro impotente, e ora svigorito e imbarazzato (una domanda: paga lui per noi, o noi per il suo essere minoranza nel Governo e non solo?), a dimissioni a catena, a dimenticare persino la parte nobile della compravendita, a un trasformismo incapace di essere l'ombra di un'antica e italica arte di governo?

E poi: precariare non solo (anche) stanca ed è uno sciupio di pubbliche risorse e di private energie che nel medio periodo si paga; soprattutto, ci allontana dai parametri di sinistra e pure del vivere civile e anche dagli elementari principi di galleggiamento: il professor Archimede, in quel di Siracusa, qualche anno fa ci spiegò la suddetta linea e la possibilità di conservarla. Un po' di tempo dopo, si pensò persino ad alzar la testa e di andar oltre l'orizzonte del possibile, di dispiegar le ali e romper le catene: ma è alia de fabula narratur, è c'era una volta: non confondiamolo con l'orizzonte delle pieghe di bilancio. Che si dispiegano, purtroppo anche Prodi regnatur, sempre pei soliti noti e nei soliti luoghi.
Non isperate, così, di veder le stelle.

* ricercatrice


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