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Allarme scrittura, i giovani non sanno più usare la penna

Ci sono ricercatori convinti che la perdita di dimestichezza con la penna abbia effetti negativi sul nostro cervello

03/02/2014
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Il Messaggero
IL PIANO
ROMA «Mamma, ma perché devo proprio imparare a scrivere bene le lettere? Basta che pigi i tasti e vengono da sole....» Paolo, quarta elementare, ha già ben chiaro il problema: vale la pena impegnare i bambini, e poi i ragazzi, con la scrittura a mano, visto che poi useranno sempre di più la tastiera? Ha ancora senso sforzarsi con penna e matita? Negli ultimi anni l’allarme di molti pedagoghi si è diffuso soprattutto nel mondo occidentale: quattro anni fa una ricerca americana constatava che i ragazzi di 16-17 anni non sapevano più scrivere in corsivo, l’85% usava già solo lo stampatello. In Gran Bretagna la ricerca di Docmail rilevava due anni fa che un adulto usava carta e penna per scrivere al massimo una volta ogni 41 giorni e che un terzo delle persone non aveva scritto nulla a penna nei precedenti sei mesi. Si dirà: pazienza, è il mondo che cambia. Invece non è così: la scrittura influenza chi siamo.
SCRITTURA E CERVELLO

Ci sono ricercatori convinti che la perdita di dimestichezza con la penna abbia effetti negativi sul nostro cervello. Manfred Spitzer, psicologo tedesco e specialista del cervello, ha scritto “Demenza digitale” (Il Corbaccio) un libro nel quale sostiene che l’uso della tecnologia abbia effetti negativi sull’ippocampo, portando alla perdita della memoria, alla riduzione delle capacità spazio-temporali e, alla lunga, anche a una maggiore probabilità di sviluppare l’Alzheimer. Esempi pratici che ognuno può verificare su se stesso: l’atrofizzazione della memoria numerica (nessuno ricorda più i numeri di telefono, perché sono tutti nella memoria del cellulare), perdita del senso di orientamento (senza navigatore ormai ci si smarrisce).
«Perdere la capacità di scrittura manuale sembra avere dei risvolti negativi sulla qualità del pensiero». Questa è la teoria del professor Bernardo Vertecchi, ordinario di Pedagogia dell’Università Roma Tre: quando si scrive con la tastiera c’è più distacco tra la persona e il testo, sostiene. Viceversa scrivere a mano metterebbe in moto qualcosa nel nostro cervello e non solo migliorerebbe la padronanza della lingua, ma ne sarebbero influenzate perfino le capacità matematiche. «Per non parlare del senso di autonomia - aggiunge Vertecchi - che dà la capacità di scrivere velocemente degli appunti su un pezzo di carta». Per mettere alla prova questa idea Vertecchi ha messo in piedi un progetto sperimentale, che coinvolge 350 bambini delle classi elementari di terza, quarta e quinta, in due scuole di Roma l’Ic Tor de’ Schiavi-Cecconi e l’Ic Mar dei Caraibi di Ostia.
«NULLA DIES SINE LINEA»
Il progetto è intitolato Nulla dies sine linea (neanche un giorno senza tracciare una linea), e ipotizza i benefici di un esercizio costante. «Noi abbiamo preparato dei fogli che vengono distribuiti ai bambini tutti i giorni per un periodo di circa 5 mesi» spiegano due delle curatrici del progetto, le dottoresse Gabriella Agresti e Cinzia Angelini. Ogni bambino è identificato da un codice, visto che non si vuole trasformare il progetto in una valutazione, e i bambini devono scrivere un numero fisso di righe su un argomento diverso ogni giorno, che sia la descrizione di una giornata di vacanza, o l’aula in cui si trovano e così via. Alla fine si cercherà di scoprire se l’esercizio quotidiano avrà prodotto un cambiamento non solo nella capacità di scrittura manuale, ma soprattutto nell’uso del lessico e nell’organizzazione dei concetti. Così i genitori potranno spiegare ai propri figli perché non basta imparare a pigiare sui tasti: scrivere a mano potrebbe migliorare la capacità di pensiero.
Angela Padrone

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