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Repubblica/Palermo: La scuola dei somari nell´Isola senza qualità

Ma cosa sono queste benedette competenze di cui la scuola va in cerca e che rappresentano ormai la discriminante tra uno studente bravo e uno studente non bravo?

06/01/2008
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la Repubblica

MAURIZIO MURAGLIA

Tutti gli insegnanti siciliani possono testimoniare di avere in classe bambini e ragazzi intelligenti. Anche degli svogliati si dice, tante volte, che lo sono. I risultati delle indagini Ocse-Pisa, riportati giovedì scorso da Repubblica, bocciano la preparazione dei nostri ragazzi nelle competenze di base (lingua, matematica, scienze), quelle che oggi vengono individuate come competenze per la cittadinanza attiva. L´Europa, ormai da alcuni anni, insiste sulla necessità che si esca dalle aule con «teste ben fatte» piuttosto che con «teste ben piene». Posto che per molti insegnanti avere teste ben piene è pur sempre preferibile ad aver teste ben vuote, resta il dato che alla prova delle teste ben fatte, cioè del possesso di competenze, gli studenti siciliani risultano i più somari.
Ma cosa sono queste benedette competenze di cui la scuola va in cerca e che rappresentano ormai la discriminante tra uno studente bravo e uno studente non bravo? «Servirsi delle conoscenze per affrontare i compiti e le sfide della vita quotidiana»: questo è l´orizzonte, così come recitano gli stessi documenti europei. A ben vedere, è come dire che si è competenti nella misura in cui ciò che si è imparato a scuola consente di affrontare «compiti e sfide della vita quotidiana».
Se qualcuno sta già esercitandosi a riflettere sulle ragioni del flop della scuola siciliana, forse è il caso che rifletta su questi «compiti» e su queste «sfide» che la quotidianità pone ai nostri bambini e ai nostri ragazzi. Che rifletta, cioè, sul nesso che è possibile istituire tra scuola e qualità della vita, intesa quest´ultima come qualità dell´ambiente, qualità delle relazioni civiche, qualità della politica, qualità del lavoro.

È pensabile che il sottosistema scuola possa risultare impermeabile a quegli altri sottosistemi che connotano una società civile?
«Ci sono insegnanti che non sanno tenere la disciplina e alcuni hanno perfino paura di mettere voti negativi. Nessuno valuta l´operato degli insegnanti, e lo strapotere dei sindacati completa tutto». Questo dichiara il preside Roberto Tripodi nell´intervista a Repubblica. Sarebbe interessante poter capire cosa succederebbe se tutti gli insegnanti siciliani apprendessero a tenere la disciplina e non avessero paura di bocciare, mantenendo inalterato il livello qualitativo della vita quotidiana in Sicilia, cioè quello che rappresenta il luogo in cui si esercitano le competenze degli studenti ovvero in cui si esercita una cittadinanza responsabile.
Se per incanto, irrigidendo disciplina e valutazione, i ragazzi dovessero diventare bravi, si potrebbe affermare che la scuola è blindabile. Che la scuola cioè ha una sua capacità di restare immune dal sociale e dal politico di cui è parte. Significherebbe in altri termini che il «senso del dovere» - altra variabile tirata in ballo da Tripodi - può essere innescato nei bambini e nei ragazzi a prescindere da quello che gli addetti ai lavori chiamano il «contesto».
Si può imparare qualcosa fuori da un contesto? Fuori da una storia? Da un territorio? E la qualità di quel che si impara, che è poi la premessa della sua trasformazione in competenza, ha a che fare soltanto con la provetta dell´insegnare e dell´imparare dentro le quattro mura (quando ci sono e non sono tramezzi improvvisati) di un´aula scolastica? In una scuola elementare di un piccolo centro della provincia di Palermo, dove mi è capitato di lavorare nella formazione dei docenti qualche mese fa, quando piove alcune aule vengono sommerse dall´acqua, che precipita lungo una delle pareti e allaga tutto. Anch´io, in quel pomeriggio di lavoro con i colleghi, ne ho fatto esperienza. Quando avviene con i bambini in classe, essi, con le loro maestre, devono prender tutto e spostarsi altrove, magari bivaccando nei corridoi fino a quando è possibile rimettere piede in aula. Così avviene in molte altre scuole siciliane.
Qualcuno potrà pensare che qui si voglia lamentare il tempo scuola perduto e non impiegato per la «costruzione delle competenze». Ma la posta in gioco è un´altra. Sta nell´erosione progressiva del senso di cittadinanza verso cui dovrebbero essere orientate quelle stesse competenze. Di quale Stato, di quale Regione, di quale Comune sono cittadini quei bambini e quei ragazzi? Al servizio di quale istituzione dovrebbero porre le competenze acquisite a scuola? Per non parlare delle maestre e della loro motivazione…
Viviamo una stagione - lo si è sottolineato altre volte - di insofferenza nei confronti del pensiero complesso sull´educazione. A ogni campanello d´allarme si ritiene di intervenire con soluzioni che comunque presuppongono un capro espiatorio. «Così toglierai il male da Israele», recitava l´antico libro del Levitico al termine di ogni misura repressiva nei confronti di chi trasgrediva la Legge. Attendiamo con pazienza che tutto il male sia tolto dalla scuola, dai suoi insegnanti e dai suoi studenti per avere una Sicilia migliore.


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