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Mess.Veneto-Giovani, lauree e lavoro la fabbrica delle illusioni

ragazzi di oggi costretti a una vita di precarietà non sono capaci nemmeno più di ribellarsi Giovani, lauree e lavoro la fabbrica delle illusioni DIBATTITO ...

06/01/2006
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MessaggeroVeneto

ragazzi di oggi costretti a una vita di precarietà non sono capaci nemmeno più di ribellarsi
Giovani, lauree e lavoro la fabbrica delle illusioni
DIBATTITO


di GABRIELLA BURBA, FRANCO SANTAMARIA
don GIOVANNI SPONTON
C'erano una volta giovani che interpellavano fortemente la società, contestando i modelli costituiti e facendosi portatori di istanze utopiche e rivoluzionarie: oggi sono diventati una generazione sommersa, esclusa dalla dialettica sociale e politica, dimezzata nel numero e nelle prospettive di vita. Alcuni dati possono essere sufficienti a evidenziare la problematicità della situazione. Secondo il Rapporto Isfol 2005 il 40% dei trentunenni vive ancora a casa con i genitori, il 25% non è in stato di occupazione, il 40% di chi lavora non ha comunque un posto fisso. Dall'indagine Almalaurea 2004 si ricava che è in calo l'occupazione dei laureati a un anno dalla laurea (54,2%), aumentano i laureati in cerca di occupazione, ma soprattutto risulta ormai pari a 2/3 la quota di giovani che intraprende studi postlaurea, alla ricerca di competenze sempre più elevate per entrare nel mondo del lavoro: il periodo di studio si dilata così oltre i trent'anni, rendendo lunghissima la transizione all'età adulta, favorendo la dipendenza dalla famiglia di origine e occultando uno stato di disoccupazione, che altrimenti risulterebbe ben più grave. A tre anni dalla laurea risultano occupati 73 su cento e a cinque anni 86, mentre 6 rimangono in formazione. A un anno dalla laurea il guadagno netto mensile è di 986 euro, a tre anni di 1.142, a cinque anni di 1.281. Secondo un'indagine Nidil-Cgil nel 2004 in Italia il 70% della nuova occupazione ha riguardato lavori precari e discontinui, attraverso i contratti di collaborazione, che si attestano su un reddito medio di 10.063 euro lordi l'anno, con una prospettiva di pensione intorno ai 300 euro. A fronte di una gigantesca fabbrica sociale delle illusioni per cui si sollecitano i giovani a rincorrere titoli sempre più elevati e si crea una vera metastasi di corsi di laurea (circa 3800) e master (che per qualcuno sono davvero un business), la realtà è che le aziende italiane preferiscono titoli di studio inferiori: secondo l'indagine Unioncamere, nel 2005 delle 648 mila assunzioni previste solo 57 mila avrebbero coinvolto i laureati. A questi si aggiungono i circa 30 mila per cui si prevedevano contratti precari nella Pubblica amministrazione. Questo è in concreto il quadro della decantata flessibilità, che i giovani traducono immediatamente in precarietà. Per contestare è necessario credere che un futuro diverso sia possibile: i nostri giovani sono piuttosto costretti a fare esercizi di sopravvivenza, pensando, invece che a farsi casa e famiglia, all'ennesimo corso cui iscriversi nel disperato tentativo di trovare finalmente una qualifica spendibile. L'osservazione diretta della realtà intorno a noi conferma infatti il già illuminante linguaggio dei dati: anche nella nostra regione schiere di laureati, talvolta con titoli ulteriori come i dottorati, lavorano precariamente nelle cooperative sociali per retribuzioni orarie che variano dai 5 ai 10 euro all'ora. A questa forma di intermediazione del lavoro "intellettuale" (per esempio educatori e psicologi) fanno sempre più ampio ricorso gli enti pubblici, Regione compresa, che delegano alle cooperative la gestione dei servizi sociali, con un circolo vizioso di precarietà, demotivazione, dequalificazione dei servizi. Ma lo sfruttamento operato dalle cooperative rimane un tabù di cui non parlare. Di fronte a questa situazione, perché i giovani non fanno più sentire la propria voce? Perché non si ribellano? Precari a trent'anni e oltre, delusi da un sistema che stimola continuamente desideri irrealizzabili, ricattabili per meno di 1.000 euro al mese, non credono più alle istituzioni, ai partiti, ai sindacati, anzi non credono più in molti casi neppure al proprio futuro. Noi, che giovani non siamo più, pur condizionati dall'attuale scenario, ma eredi di una concezione per cui la direzione della storia dipende dalle nostre scelte di oggi, chiediamo a chi ci legge, giovani e meno giovani, ma soprattutto a chi nella nostra regione riveste responsabilità in campo politico, economico e sindacale, se questo stato di cose sia tollerabile o non occorra invece una reazione collettiva di indignazione capace di tradursi in denuncia e proposta.


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