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Unità-la lezione dell'ex-segretario, la grinta del successore

la lezione dell'ex-segretario, la grinta del successore di Piero Sansonetti Sergio Cofferati è il primo leader politico italiano che abbandona di sua volontà la ribalta, quando è giunto al cul...

21/09/2002
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l'Unità

la lezione dell'ex-segretario, la grinta del successore
di Piero Sansonetti

Sergio Cofferati è il primo leader politico italiano che abbandona di sua volontà la ribalta, quando è giunto al culmine della popolarità - senza essere stato sconfitto - e torna a lavorare in fabbrica in cambio di un modesto stipendio che gli permetta di vivere, di pagarsi i biglietti per l'Opera e di fare politica nel tempo libero.

Guglielmo Epifani è il primo ex socialista (nel senso di esponente del vecchio Psi, e in particolare del vecchio Psi di Craxi) che sale sul seggio di capo della Cgil. Seggio esclusivo, quasi sacro, da sempre riservato ai comunisti e poi agli ex comunisti. Questi sono due dati di fatto. Sui quali si potrà discettare finché si vuole, ipotizzare cause e retroscena, sviluppi e sorprese, secondi, terzi e quarti fini. Ma sono fatti incontestabili e sono le due grandi novità della giornata di ieri, e cioè del giorno del passaggio di consegne e dell'abbandono, dopo otto anni, di Cofferati, che lascia Corso Italia, lascia Roma, torna a Milano e si prepara a riprendere il lavoro in ufficio, alla Pirelli, da cittadino comune iscritto alla Cgil.

Cofferati si presenterà in fabbrica il primo ottobre e inizierà il suo nuovo lavoro all'ufficio studi. Poi si vedrà. Per ora possiamo dire che dopo Cincinnato, è il primo - o quasi - a ritirarsi (Cincinnato però poi tornò, richiamato a gran voce dal popolo, e chissà che la storia non si ripeta...). In altri paesi quella di abbandonare la politica (diciamo genericamente il potere) è una cosa normale: negli Stati Uniti circolano quattro ex presidenti (senza considerare ovviamente Reagan), tutti piuttosto svegli e in forma fisica e intellettuale, ma impossibilitati, per legge, a tornare alla politica. Uno di loro - Clinton - ha appena cinquantacinque anni e forse è l'uomo politico più lucido dell'occidente: ma la legge è legge, e lui resta ai margini a guardare. Da noi no, non si usa. L'unico leader del dopoguerra che abbandonò la politica da giovane (aveva appena 38 anni, anche se era già considerato un vecchio saggio) fu Giuseppe Dossetti: era il vice di De Gasperi, era la grande speranza della Dc. Preferì mandare tutti a quel paese e farsi prete.

Ieri un giornalista ha chiesto a Cofferati se il giorno dello sciopero generale starà sopra o sotto il palco. Lui l'ha guardato stupito: "Che domanda è? Sotto, è ovvio: in piazza, che è il posto dove vanno tutti i militanti della Cgil il giorno dello sciopero generale. Sul palco ci stanno i dirigenti...". A Epifani invece hanno chiesto se si sente in grado di sostituire Sergio Cofferati e il suo carisma. Se non ha paura. Lui ha risposto con molta grinta, senza farsi intimidire. Ha detto che no, non ha paura: lui e Cofferati hanno una carriera praticamente parallela. Si iscrivono al sindacato negli stessi anni, salgono alla direzione di una categoria nello steso periodo, entrano in segreteria nazionale insieme.

Epifani non si sente inferiore a Cofferati, né sembra preoccupato del fatto di essere il primo ex socialista in una posizione così importante. La storia del sindacato italiano, nel dopoguerra, è in gran parte una storia di mitici dirigenti comunisti (più alcuni democristiani). I grandi nomi socialisti sono pochi: Fernando Santi, Giorgio Benvenuto, per un breve periodo Brodolini e poi più o meno basta (Foa non può essere classificato esattamente come socialista). Epifani fino a qualche anno fa era più o meno uno sconosciuto alla grande opinione pubblica. Ieri, in conferenza stampa, ha dato l'impressione di avere tutte le carte in regola per prendere in mano la Cgil in uno dei momenti più difficili dell'esistenza del sindacato: in rottura con Cisl e Uil, contrapposto al governo in una vertenza muro contro muro, col rischio di vedere perdute grandi conquiste del lavoro (come l'articolo 18) e persino costretto a navigare in un acqua piena di polemiche che vengono dagli amici (un po' dai Ds, un po' dalla Margherita...).

Epifani non sembra uno che passa di lì per caso, e neppure uno che sa di dovere solo fare la controfigura di Cofferati. E' pronto alla sfida, alla battaglia aperta, alle sciabolate. Sa che ci sarà bisogno di sciabolate e di nervi saldi. Sa che chi dirige la Cgil deve fare i conti col passato glorioso: con il ricordo di Di Vittorio, di Lama, di tutti gli altri. Ma non si spaventa. E' una persona molto educata, diplomatica, cerca di evitare le polemiche. E' una debolezza? Magari no: è da anni che dai leader di questo paese otteniamo soltanto feroci e continue polemiche politiche, spesso incomprensibili, spesso su temi marginali. Se finalmente emerge uno che odia le polemiche potrebbe essere una cosa buona, no?

E Cofferati? Davvero se ne va, davvero si ritira, davvero rinuncia alle lusinghe di mezza sinistra italiana che lo vorrebbe come suo leader, o come leader di tutti, o come futuro premier, o vicepremier o altro? Sì, davvero. Questo non vuol dire che in futuro Cofferati non possa tornare sulla ribalta della politica italiana. Per ora però quel che conta è che il suo gesto è un gesto serio, autentico, che comporta dei prezzi e delle rinunce, anche personali, anche umani, e che ci consegna alcuni messaggi politici piuttosto importanti. Primo, Cofferati ci fa sapere che di fronte a significative scadenze politiche il problema principale non è quello di sistemare in qualche modo i protagonisti. Cioè che la vecchia pratica democristiana (quella dei Cencelli, e delle compensazioni, e delle scacchiere del potere dove muovere, spostare, incastrare, sistemare pedine di ogni genere) non è il sugo vero della politica. Secondo, Cofferati ci fa sapere che nella vita non è detto che il problema principale sia quello di inanellare successi e prebende: non c'è nulla di poco dignitoso se un giorno un grande capo politico (o sindacale) decide di tornare a fare il lavoratore dipendente.

E non c'è niente di poco dignitoso, di conseguenza, per ciascuno di noi, se non ci capita di far carriera o magari ci succede di tornare indietro. E' un messaggio radicalmente anti-berlusconiano. Terzo, Cofferati ci dice che non è vero che esistono i leader insostituibili, e che non è vero che il problema fondamentale della politica italiana sia quelle di trovare il suo capo. Forse è il messaggio più importante, politicamente: non ne possiamo più , nessuno di noi ne può più del liderismo, e cioè dell'argomento politico del quale siamo stati costretti a discutere incessantemente per una decina d'anni, per altro senza mai venire a capo di nulla. Quello della politica senza leader (o almeno senza liderismo) sta diventando il sogno nel cassetto del popolo di sinistra.

Tuto questo non vuol dire che l'abbandono di Cofferati non sia un problema, ed un problema che si riproporrà probabilmente molto presto e che andrà affrontato in modo serio. Cofferati in questi ultimi anni, e ancora più in questi ultimi mesi, è stato un punto di riferimento fondamentale per la sinistra italiana. Lui, vecchio amendoliano e vecchio migliorista, ha preso sulle sue spalle il peso dello scontro duro col governo e con la destra, e ha offerto una sponda a settori politici e sociali molto vasti che erano entrati in rotta di collisione con le recenti politiche del centrosinistra. Ha svolto un ruolo fondamentale, di collante. Non un ruolo di divisione: un ruolo di riaggregazione. Non è facile sostituirlo in questo compito, proprio perché nessuno ha il suo carisma, la sua radicalità, e insieme la sua storia e il suo modo di fare che sono quelli di un uomo di sinistra, riformista e moderato.


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