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Repubblica-Manovra di scontro

MANOVRA DI SCONTRO MASSIMO RIVA DEVE essere proprio vero che il cielo toglie il senno a coloro che vuol perdere. Nello stesso giorno nel quale l'arroganza del duo Berlusconi-Tremonti è s...

30/09/2003
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la Repubblica

MANOVRA DI SCONTRO
MASSIMO RIVA
DEVE essere proprio vero che il cielo toglie il senno a coloro che vuol perdere. Nello stesso giorno nel quale l'arroganza del duo Berlusconi-Tremonti è stata bastonata dalla Corte costituzionale sul fronte dell'assalto alle Fondazioni ex-bancarie, con impunita sicumera il governo ha presentato una Legge finanziaria che pone le premesse di un nuovo avventato e ben più grave scontro - stavolta addirittura con l'intero mondo sindacale - senza offrire al paese una manovra in grado di rimettere su solidi binari una contabilità pubblica sempre più allo sbando.
Che l'Italia, come altri paesi europei, abbia bisogno di mettere nuovamente mano al sistema pensionistico è un fatto - ahinoi - dettato da ragioni demografiche cogenti
Ma l'idea di inserire in Finanziaria soltanto una stretta sui trattamenti di invalidità e una sovrattassa (di più che dubbia costituzionalità) sulle cosiddette pensioni d'oro rivela il ristretto orizzonte di bassa cucina contabile dentro il quale il governo si dibatte. Queste misure non sono neppure l'avvisaglia di una riforma che partirà - si dice - nel 2008, ma mediocri espedienti per fare un po' di cassa nell'anno 2004. Così si compie il capolavoro politico di aprire una stagione di guerra con le organizzazioni sindacali - perfino la Uil parla ora di sciopero generale - gettando alle ortiche quel clima di dialogo sociale che è viatico indispensabile per far maturare nel paese una coscienza diffusa sulla necessità di rivedere il regime pensionistico.
Di questa stessa miopia strategica è conferma il pacchetto delle principali misure con le quali si punta a tamponare lo sbilancio fra entrate e uscite dello Stato. Se negli anni scorsi il ministro Tremonti aveva stupito (o, meglio, lasciato sbigottiti) con le sue fantasiose trovate finanziarie, questa volta non c'è più da meravigliarsi: si replica, anzi si persevera con i condoni. Quello fiscale viene prorogato alla primavera del 2004, rilanciando ai contribuenti un messaggio inequivocabile: evadete, evadete, nulla resterà.
Accanto alla tributaria torna, dieci anni dopo quella del primo governo Berlusconi, una sanatoria edilizia: che - si assicura - sarà contenuta e non lassista. Ma già si capisce che, poi, ci penseranno le aule parlamentari ad allargare le maglie il più possibile: almeno quanto desidera, senza poterlo confessare, il ministro dell'Economia assetato di contante.
Altro errore che verrà disinvoltamente ripetuto è quello di fare cassa con massicce vendite di immobili pubblici, il cui ricavato verrà rapidamente bruciato nella fornace del bilancio corrente, facendosi beffe di quella elementare regola ragionieristica che impone di destinare a riduzione del debito il controvalore di ogni cessione patrimoniale. Così facendo emergere la sostanziale ipocrisia di un governo, che dice di voler mettere mano alle pensioni per tutelare i diritti delle future generazioni, ma poi di fatto sfila sotto il naso ai figli le più solide garanzie patrimoniali dei debiti contratti per sostenere artificiosamente il tenore di vita dei padri e dei nonni. Con una mano si fa, con l'altra si disfa.
Quanto alla parte sedicente propositiva della Finanziaria, si tratta di una miriade di interventi che non è possibile esaminare in dettaglio. Fa sorridere il progetto di una sorta di nuova accademia d'Italia di mussoliniana memoria.
Ma, insieme a trovate per lisciare il pelo degli ex-democristiani come le agevolazioni per il secondo figlio, compaiono misure meno demagogiche: per esempio, iniziative a sostegno del "made in Italy" certo più ragionevoli della nota scemenza sulla reintroduzione dei dazi doganali.
Nel complesso si distribuiscono soldi come coriandoli: cosicché ciascuno avrà qualcosa da mostrare alla sua clientela, ma senza che in questi provvedimenti si possa intravedere una spinta davvero potente alla ripresa dell'economia. Comunque, è proprio su questa parte della manovra che - l'esperienza insegna - si scatenerà l'assalto alla diligenza durante l'esame parlamentare.
Alla fine, a pagare il conto di questa avventura - come nei due anni precedenti - sarà l'avanzo primario, cioè il saldo fra entrate e uscite al netto degli interessi, che per un paese indebitato come il nostro è l'indicatore basilare dello stato di salute dei conti pubblici. Ai suoi tempi, Carlo Azeglio Ciampi si era dannato per farlo salire e c'era riuscito.
Con Berlusconi e Tremonti l'avanzo continua a calare, rendendo sempre più fragili le fondamenta del bilancio pubblico. Ma dell'avanzo primario - si sa - si preoccupano soltanto i buoni amministratori...
MASSIMO RIVA


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