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Repubblica-Il Triste risveglio del ministro creativo

EUGENIO SCALFARI L'ONOREVOLE ministro del Tesoro, Giulio Tremonti, probabilmente ricorderà che quanto gli sta accadendo in questi giorni (e purtroppo quanto sta accadendo all'economia italiana e qu...

23/09/2002
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la Repubblica

EUGENIO SCALFARI
L'ONOREVOLE ministro del Tesoro, Giulio Tremonti, probabilmente ricorderà che quanto gli sta accadendo in questi giorni (e purtroppo quanto sta accadendo all'economia italiana e quindi a ciascuno di noi) era stato esattamente previsto. Previsto dai partiti d'opposizione, previsto in particolare da Vincenzo Visco suo predecessore e co-autore del risanamento della finanza pubblica italiana, previsto da questo nostro giornale.
Del resto non era una previsione difficile. Nel giugno del 2001 c'erano già tutti gli elementi per capire che in Occidente l'economia era in fase di rallentamento, che il motore americano era praticamente fermo già da quattro mesi e che anche Eurolandia dava segnali poco rassicuranti in termini di crescita.
Mi sono andato a rileggere gli articoli che alcuni miei colleghi ed io cominciammo a scrivere quindici mesi fa, seguendo da allora passo dopo passo la politica "creativa" del ministro dell'Economia; se decidessimo di raccoglierli in un volume varrebbe la pena di intitolarlo "Tremonteide" e forse sarebbe di qualche utilità per misurare il livello d'improvvisazione, superficialità, incompetenza della squadra di governo cui la maggioranza degli elettori affidò nel maggio dell'anno scorso la guida del paese. Perché quelle previsioni, purtroppo confermate con un'esattezza sorprendente, sarebbe stato compito del governo farle. Se non nel giugno, almeno nel settembre e se non allora almeno nel febbraio di quest'anno, quando non si trattava più di previsioni ma di fenomeni avvenuti, di cifre che fotografavano la realtà dei fatti.
Invece non accadde nulla di tutto ciò; la squadra di governo continuò a marciare intrepidamente verso la catastrofe negando l'evidenza, prendendo in giro le maggiori istituzioni internazionali, sostenendo che tutto era sotto controllo e che le aspettative del mercato si sarebbero ben presto capovolte in meglio. Nel frattempo pannicelli caldi: la Tremonti-bis che si rivelò da subito un clamoroso flop, lo scudo fiscale che fu un piccolo successo d'immagine sotto al quale c'era il nulla più assoluto, la campagna per l'emersione dal sommerso che, a 15 mesi dal suo inizio, viaggia ancora di proroga in proroga avendo portato in superficie qualche centinaio di lavoratori e qualche decina di piccole aziende su un universo che viene attendibilmente stimato al 27% dell'intero prodotto interno.

Èperchè è avvenuto questo? I Tremonti, i Marzano, i Maroni, i Martino, i Baldassarre, i Siniscalco, i Sacconi, sono dunque sprovveduti al punto d'aver scambiato per quindici mesi lucciole per lanterne, arrampicandosi sulle montagne russe delle cartolarizzazioni, dei condoni, della vendita del patrimonio pubblico, mentre intorno a loro la Borsa perdeva il 60% del valore capitalizzato, la produzione industriale calava, le entrate tributarie diminuivano, l'inflazione aumentava, il debito pubblico dopo cinque anni di risultati virtuosi ricominciava pericolosamente a gonfiarsi? Che si tratti d'una squadra incompetente è ormai chiaro a tutti fino all'evidenza. Che la sua faciloneria sia stata coperta in tutto questo tempo dal governatore della Banca d'Italia è un altro degli enigmi più affascinanti e inspiegabili di questo periodo. Che la Confindustria abbia incoraggiato fino al limite del credibile una politica di avventura e di rischi non calcolati è un'altra delle anomalie che caratterizzano la vita pubblica italiana di inizio secolo. Ma un'altra ragione ci deve pur essere, più profonda, più intrinseca alla natura di questo governo e della maggioranza che lo sostiene.
* * *
Questa ragione fu indicata molti mesi fa su questo giornale quando scrivemmo che il vero vincolo economico che legava le mani al ministro dell'Economia non era affatto il patto di stabilità europeo bensì gli impegni elettorali che Silvio Berlusconi aveva solennemente assunto dinanzi agli italiani e che Giulio Tremonti aveva con rara incoscienza avallato.
Quegli impegni sarebbe stato faticoso mantenerli in un'economia che avesse marciato a pieno ritmo, ma adempierli in una fase di stagnazione protratta ormai da due anni era manifestamente impossibile.
Questo bisognava confessare alla pubblica opinione. Ma una confessione del genere significava stampare sulla fronte del "premier", dei suoi alleati, della sua squadra di governo e in particolare del super-ministro del Tesoro, la qualifica di venditori di tappeti e sulla fronte dei loro sventurati "supporter" la qualifica di allocchi. A volte la verità fa male e perciò è stata nascosta fin quando è stato possibile. Oggi non lo è più, con l'aggravante d'aver perso quindici mesi di tempo per raddrizzare una barca che nel frattempo ha imbarcato acqua a tonnellate.
Come se non bastasse, in quei mesi governo e Confindustria si erano impegnati a corpo morto nel luminoso progetto di dividere il fronte sindacale per ottenere un risultato di nessuna rilevanza economica ma gravemente lesivo del sistema dei diritti dei lavoratori e della stessa agibilità politica del Tesoro. Il risultato era di intaccare il diritto al reintegro dei lavoratori licenziati senza giusta causa e di ottenere l'adesione della Cisl-Uil a questo disegno.
Ne è nato il cosiddetto patto per l'Italia che il presidente della Confindustria salutò come la più grande rivoluzione benefica per ridare competitività all'economia nazionale.
Si vede oggi in quali tempeste stia navigando quel patto, che ha rotto la concertazione tra le parti sociali nel momento in cui sarebbe stata più necessaria, ha precluso al governo ogni possibilità di intervento sui capitoli più importanti della politica sociale ed è oggi a rischio d'essere rinviato di fronte alla drammatica realtà delle cifre.
La Cisl e la Uil rivendicano il merito di aver ottenuto in contropartita l'esecutività del primo modulo della riforma fiscale, quello sui redditi più bassi, più alcuni spiccioli per gli ammortizzatori sociali. Forse la loro intenzione era buona, ma condizionata da un errore macroscopico: quello di prender sul serio le previsioni tremontiane sulla crescita dell'economia, contenute del Dpef.
Il patto per l'Italia poteva avere un senso, sia pure modesto, in un'economia che fosse cresciuta tra il 2 e il 3 per cento, una domanda interna vivace per consumi e investimenti, una tendenza positiva del mercato del lavoro ed una sostanziale stabilità dei prezzi.
Cisl e Uil hanno creduto che questo sarebbe stato il trend. Viceversa le cifre reali erano del tutto divergenti. Nel primo caso le concessioni del governo ai lavoratori sarebbero state largamente insufficienti; nel secondo gli obiettivi del patto Italia diventano irrilevanti se non addirittura controproducenti di fronte a una situazione di vero e proprio dissesto. La stessa riforma fiscale sui redditi bassi - di per sé utile come incentivo ai consumi - esplicherà qualche primo effetto solo nell'autunno del 2003 mentre lo stimolo ai consumi dovrebbe prodursi subito.
Non a caso la Confcommercio si batte per un immediato "bonus" ai consumi; ma se questa misura venisse accettata come sarebbe auspicabile essa assorbirebbe gli importi necessari alla riduzione delle imposte.
Era patetico l'altro giorno il Tremonti che abbiamo visto solo al banco del governo a fronteggiare l'opposizione rimproverandola di non proporre una sua qualche ricetta per uscire dal marasma finanziario. Il ministro del Tesoro crede ancora in ricette miracolistiche proposte da qualche cervellone simile al suo?
Non esistono ricette di quel tipo ed è lui stesso ad averlo dimostrato. C'è da impostare un'altra politica economica che partendo dal dissesto di 15 mesi di pessimo governo ricominci a tessere con pazienza la tela del buongoverno, con impegni commisurati alle risorse e stimoli concentrati sui punti sensibili della produzione e dell'investimento.
* * *
A me sembra straordinario che un paese economicamente maturo sopporti un ministro e una squadra di così modesto livello; che una classe imprenditoriale che passa per essere moderna e agguerrita sia guidata da un personaggio e da una squadra che le ha sbagliate tutte senza eccezione alcuna e che soltanto adesso si accorge quale abisso si è scavata sotto i piedi; che un sindacato cosiddetto moderato abbia accettato un piatto di lenticchie senza rendersi conto che mancava la legna per poterlo cucinare.
Tutto ciò avviene perché Berlusconi non può perder la faccia. E ancora non si accorgono che l'ha già persa e che i suoi tappeti falso-persiani non li compra più nessuno.


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