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Il reclutamento nella scuola: la storia per capire

Mauro de Luca – flc CGIL Valle d’Aosta

04/09/2012
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La Stampa

 

Nella rovente polemica che sta montando sulla questione dei concorsi ordinari come forma di reclutamento nella scuola, varrebbe la pena ricostruire un po’ di storia  per capire perché si è arrivati a questo punto di non ritorno. Se tutti avessimo gli strumenti per ripercorrere le tappe che hanno caratterizzato la questione del reclutamento degli insegnanti, si eviterebbero dichiarazioni e prese di posizione strumentali e demagogiche.
Premesso che   in generale si può ritenere che la procedura del concorso “ordinario” aperto a tutti  sia la più trasparente e pragmatica delle soluzioni, come si è arrivati  allora all’attuale situazione dove il solo annuncio di un possibile prossimo concorso generi  tali e tante prese di posizioni da lasciare interdetti?

 

L’idea di bandire concorsi ordinari per il reclutamento nella scuola, con cadenza biennale, è stata ripresa all’inizio degli anni ’80, se non erro con la legge 270/82.  Stabilito il principio però, la norma stessa prevedeva  la sanatoria (con l’immissione in ruolo senza concorso) per i supplenti “non licenziabili”  allora in servizio.
Questo il vizio originale, che sarebbe poi stato invocato decine di volte da chi, in situazione analoga (supplente pluriennale) si chiedeva “perché loro sì e noi no?”.

Tant’è,  grazie a questa legge e per un certo periodo, i concorsi sono stati regolarmente banditi ed hanno prodotto vincitori che sono poi stati regolarmente assunti.
Dato però che il lavoro del docente era appetibile (per vocazione e passione, o solo per comodo  e per altri indubbi vantaggi), complice l’aumento del numero di coloro che avevano accesso all’università,  in quel periodo felice ed economicamente in espansione, il numero degli aspiranti docenti che si presentava ai concorsi è stato  molto maggiore del numero dei posti disponibili e quindi, tolti coloro che non superavano le prove concorsuali, si formavano comunque lunghe “code” di docenti idonei, cioè vincitori di concorso per i quali non c’erano - al momento - posti disponibili. Questi venivano sì  inseriti in una graduatoria di merito, che rimaneva valida fino all’espletamento del concorso successivo,  ma  la maggioranza degli “idonei” non riusciva ad essere assunta a tempo indeterminato prima della scadenza della validità della graduatoria di merito. Se questi volevano entrare nella scuola, dovevano  ripresentarsi al concorso successivo, alla pari di qualsiasi altro neo laureato.
Ovviamente questo risultato è apparso subito iniquo e per correggere tale iniquità, il Ministro di turno ha proposto di costituire una graduatoria di “vincitori di concorso” non assunti, da utilizzare nel tempo per la copertura del 50% dei posti disponibili, mentre il restante 50% sarebbe andato ai nuovi vincitori di concorso. Si stabili in questo modo  il principio del “doppio canale” che prevedeva due distinte  graduatorie quella per titoli e quella per  concorso.

Da qui spunta la famosa “graduatoria” nella quale affluiranno poi successivamente anche gli aspiranti abilitati, che si gonfierà a tal punto da obbligare il Ministero – e arriviamo quasi ai giorni nostri – a chiuderla ai nuovi ingressi, per evitare aspettative eccessive ed elenchi “monstre” inestinguibili.
Ma anche così siamo a circa 250.000 aspiranti docenti, che hanno superato un concorso ordinario o che si sono abilitati nelle diverse forme previste nel tempo, e impazientemente attendono di essere finalmente assunti a tempo indeterminato. Va rilevato che si tratta per lo più di quaranta/cinquantenni, in genere con 10/15  anni o più di servizio e quindi di persone “con famiglia”, che hanno investito  il loro futuro professionale nella scuola e difficilmente potrebbero “riconvertirsi”.


Sul  concorso ordinario ci sono state  però – già nel passato - anche opinioni diverse e più critiche, sostanzialmente per due ordini di motivi. Il primo perché le prove concorsuali tendono a verificare le competenze disciplinari della materia  per cui si concorre, ma non la capacità di insegnarla
(e l’obiezione non era peregrina)!
Il secondo, perché bandendo  un concorso ogni due (poi tre) anni, con l’aumento vertiginoso dei candidati e quindi delle commissioni, i costi per lo Stato aumentano a dismisura di pari passo con le aspettative dei partecipanti cui va aggiunto il fatto che l'esercito degli "aventi diritto" aumenta a dismisura, mentre lo stesso non succede per disponibili.

Per l’una e l’altra ragione, il titolare di turno del Ministero ha quindi deciso di  soprassedere ai concorsi ordinari e stabilito che per l’accesso all’insegnamento si dovesse prevedere un (lungo) percorso formativo incentrato sia sulle conoscenze disciplinari che sulla “pratica”dell’insegnamento, sulla pedagogia e sulla didattica.
Di questa formazione si sarebbe occupata l’Università che dapprima disdegna il compito attribuitole (“abbassarsi” a formare maestri e professori di livello inferiore!),  poi  è costretta ad accettare “obtorto collo” e alla fine - complici i tagli delle risorse  alla stessa Università - entusiasticamente si impegna  ad attivare corsi (spesso a pagamento) per docenti: partono le SISS, le lauree specialistiche, le lauree magistrali, le lauree in scienza della formazione.
A conclusione di questi percorsi,  per tutti l’ambita e necessaria abilitazione, che avrebbe consentito l’inserimento nelle graduatorie permanenti o ad esaurimento, almeno fino ad una certa data.

Ovviamente per chi ha perso il treno e non è riuscito ad entrare in tempo, rimane  la possibilità di inserirsi nella graduatorie di Istituto degli abilitati o dei non abilitati. Ma il  mugugno  si ripete: "perché loro che sono abilitati come gli altri non possono entrare nelle “permanenti” che hanno diritto di precedenza e danno accesso al tempo indeterminato"?

Per chi perde anche questo treno, si ripropone un percorso formativo misto (metà si studia e metà si insegna), una delle ultime creature della Gelmini: i Tirocini Formativi Attivi, miraggio abilitante al tempo del mai,  i cui exploit già solo delle preselezioni sono notizia di oggi, con l’ultimo ricorso accolto che li annulla in massa.

Naturalmente anche per i fortunati delle “permanenti” non sono rose e fiori. Grazie alla dissennata politica di “dismissione” della scuola dei Ministri all’Istruzione del governo Berlusconi, si perdono in pochi anni  oltre 180.000 posti di lavoro. insieme a questi, la speranza di entrare in ruolo in tempi umanamente accettabili. Contestualmente la scuola italiana funziona proprio grazie a questo esercito di “precari” che garantiscono le sostituzioni e le assenze e il regolare funzionamento della didattica.

Si capisce adesso forse più chiaramente perché su questo problema non ci sono soluzioni accettabili “tout court”, perché qualche irresponsabile ha creato aspettative, fatto e disfatto, detto e negato ogni cosa, contro i precari, contro la scuola e contro i diritti dei cittadini,.
E così oggi tutti possono rivendicare le proprie ragioni ed ha torto il Ministro Profumo che promette ordine e ”merito” dove ordine e merito non ci possono essere, che premierebbe i giovani, come se la stessa categoria anagrafica fosse sinonimo di competenza,  e insieme mortifica quelli che  “quando erano giovani” hanno vinto un concorso e sono ancora lì ad aspettare che il merito (o almeno l’esperienza) vengano riconosciuti, un Ministro che vorrebbe scrivere delle “regole” su una pagina bianca e ha invece in mano un quadernaccio spiegazzato, pieno di cancellature, dove tutti si sono esercitati a scrivere i loro “pensierini”, senza pratica e senza grammatica.
Invece no, bisogna partire dall’esistente, purtroppo. Onorare gli impegni presi e mantenere le promesse. Bisogna evitare la demagogia e la politica degli annunci, bisogna evitare di creare ulteriori aspettative che inevitabilmente si trasformeranno in frustrazione e rabbia.
Può anche aiutare la scelta di  reinvestire nella scuola, provando a ricucire quelle ferite che il trio “lescano” Moratti/Gelmini/Brunetta/  le hanno inferto e aiuterebbe anche una politica degli organici con un credibile obiettivo legato alla qualità dell’offerta formativa.
Magari recuperando il modello invidiato dall’Europa della scuola primaria, le eccellenze delle scuole dell’infanzia. ripristinando quei servizi di qualità che erano il tempo pieno o il tempo prolungato, garantendo la dignità dell’inserimento dell’handicap senza dover ricorrere ai tribunali, facendo investimenti seri sulle nuove tecnologie e sull’inglese, invece di contrabbandare il riciclo dei docenti che ci sono già, malamente truccati con una mano di farina che scompare al primo fiato. Tanto per dire.

 

                                                


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