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Unità: Perché difendo il ministro Mussi

Pietro Greco

29/03/2008
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l'Unità

Perché difendo il ministro Mussi

«Scusate la franchezza, ma se Mussi si fosse occupato un po’ di più, e con idee più chiare, del suo ministero, l’Università, l’istituzione in cui opero, non sarebbe al collasso (perché di questo si tratta). Dubito fortemente che i docenti universitari di sinistra lo voteranno».
Lo confesso. Mi ha colpito leggere queste parole nell’editoriale firmato dal professor Alessandro dal Lago e pubblicato lo scorso 25 marzo sulla prima pagina di Liberazione, il quotidiano della principale formazione politica che concorre alla Sinistra L’Arcobaleno, con il titolo «Sinistra, sono deluso ma ti voto».
E non perché, in piena campagna elettorale, è inusuale che un quotidiano riferimento di una parte politica in corsa assuma posizioni così ferocemente autocritiche. Criticare se stessi è sempre un atto di coraggio ed è bene che questo coraggio si manifesti anche in campagna elettorale.
Non è dunque per il metodo, cui plaudo, che sono rimasto colpito, ma per il merito, da cui dissento. Per tre motivi. Primo: l’università e la ricerca pubblica in Italia non sono al collasso, anche se versano in gravi difficoltà. Le performances scientifiche e didattiche di ricercatori e docenti hanno buoni e obiettivi riscontri, in media. Secondo, l’università e la ricerca non sono in gravi difficoltà a causa dell’inazione di Fabio Mussi: sono almeno quarant’anni che queste condizioni di difficoltà sussistono. Terzo, i professori universitari e i ricercatori, tutto sommato, possano votare per la sinistra (per il centrosinistra del PD o per la sinistra dell’Arcobaleno) senza sentirsi troppo delusi né dal ministro né da altri: in questi venti mesi qualcosa di buona è stato fatto.
Premetto che sono stato un consigliere del ministro dell’Università e della Ricerca e che, quindi, ho una visione orientata delle cose. Ma cercherò di far tesoro dell’ammirazione dovuta a chi è capace di criticare serenamente se stesso.
Forse ce ne siamo dimenticati. Ma Fabio Mussi assunse la direzione del ministero quando l’Italia, per volontà del suo predecessore, la signora Letizia Moratti, e del governo Berlusconi, partecipava alla minoranza di blocco che in Europa impediva non solo il finanziamento alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, ma impediva il varo del VII Programma Quadro, ovvero dell’intera politica di ricerca dell’Unione. Il primo atto del nuovo ministro fu di revocare l’adesione alla dichiarazione della minoranza di blocco. Un chiaro segnale di svolta. Che restituiva non solo un carattere di laicità alla posizione italiana, ma restituiva l’Italia all’Europa della ricerca. Cui la stessa Moratti l’aveva sottratta, ingaggiando furiose battaglie, come quella contro l’European Research Council (Erc) e la sua autonomia.
Forse ci siamo dimenticati che solo venti mesi fa alla testa degli Enti pubblici di ricerca c’erano molti personaggi scientificamente discutibili. E che oggi per la gran parte sono stati sostituiti da scienziati di assoluto e riconosciuto valore internazionale: da Giovanni Bignami all’Agenzia spaziale italiana, a Luciano Maiani, presidente appena insediato al Coniglio Nazionale delle Ricerche. Ma la buona novità non è solo nei nomi (e non sarebbe davvero poca cosa): ma nel metodo. Il ministro ha messo in moto meccanismi (come il search committee) che conferiscono minore potere arbitrario alla politica e maggiore autonomia alla ricerca.
E anche sull’università non sono state né poche né banali le azioni di Fabio Mussi. Si è battuto contro la proliferazione delle sedi e dei corsi (degenerazioni la cui responsabilità ricade quasi tutta sui docenti e sull’interpretazione per così dire minimalista che hanno dato della pregevole e necessaria riforma Berlinguer), contro le università telematiche poco accreditate, contro le lauree facili, contro i fenomeni - ahimé troppo frequenti - di clientelismo e persino di nepotismo. Ha spinto ormai quasi in porto l’Anvur, con le sue due idee forti che l’università deve essere valutata da organismi indipendenti e che il merito va premiato. Ha varato - dopo anni di blocco - un piano di assunzioni di ricercatori bloccato in maniera francamente criticabile dalla Corte dei Conti.
Indubbiamente si poteva fare di più. Ma è altrettanto vero che in questi venti mesi Fabio Mussi ha tirato la corda dalla parte giusta, riaffermando il valore strategico del sistema pubblico dell’alta formazione e della ricerca per il nostro paese nel quadro europeo. Non è poco, visto che solo venti mesi fa c’era un ministro, la signora Moratti, che tirava con vigore dalla parte opposta.Ma, in omaggio alla virtù della serena critica a se stessi, occorre ricordare anche i limiti dell’azione del Ministro. Si è fatto troppo poco, per esempio, per sciogliere le incrostazioni burocratiche all’interno stesso del Ministero. Ma forse è meglio uscire delle questioni, pur importanti, di settore per arrivare ai tre nodi fondamentali.
Primo: la questione dei fondi, per l’università e per la ricerca pubblica. In questi venti mesi non c’è stata la svolta. Sono stati risanati i conti dello Stato, ma non sono state trovate le risorse nuove e aggiuntiva da dare a centri di ricerca e università, per consentire all’Italia di uscire dalla situazione di stallo e iniziare a correre come gli altri paesi verso la società della conoscenza.
Secondo: non sono stati sufficientemente qualificati gli incentivi alle imprese. Sarebbe stato opportuno premiare le imprese che cambiano specializzazione produttiva in direzione dei beni high-tech e/o ad alto tasso di conoscenza aggiunto.
Terzo: non si è riusciti ad imporre l’idea che la ricerca scientifica e l’alta educazione non sono questioni settoriali, sia pure importanti, ma sono l’unica e l’ultima chance che abbiamo per fare uscire il Paese dal declino economico.
Certo, Fabio Mussi non è riuscito a fare tutto ciò. Ma tutto ciò non poteva farlo da solo. Questi sono obiettivi mancati dall’intero governo di centrosinistra. E sono, a ben vedere, i motivi per cui il governo - privo di un grande progetto oltre quello di risanare i conti dello stato - è durato venti e non sessanta mesi.Potremmo dire che Fabio Mussi doveva tirare con più forza, ma dobbiamo rilevare ancora una volta che è stato tra i pochi nell’intero centrosinistra a tirare nella direzione giusta.
Non è una questione personale, naturalmente. Se la sinistra - quella moderata del Pd o quella radicale dell’Arcobaleno - non fa i conti con il grande tema della società della conoscenza, della necessità di assicurare autonomia e risorse alla ricerca e all’alta formazione, della necessità di cambiare la specializzazione produttiva del sistema paese per realizzare uno sviluppo ecologicamente e socialmente sostenibile, rinuncerà a un’idea di futuro e si condannerà a vivere, chissà per quanto tempo, tra polemiche interne e delusioni esternate.


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