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Unità-Meno economisti e più scienza per i paesi poveri

Meno economisti e più scienza per i paesi poveri Un rapporto dell'Onu sostiene che le conoscenze scientifiche devono essere al centro dello sviluppo. E il maremoto in Asia lo conferma Ste...

10/01/2005
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l'Unità

Meno economisti e più scienza per i paesi poveri

Un rapporto dell'Onu sostiene che le conoscenze scientifiche devono essere al centro dello sviluppo. E il maremoto in Asia lo conferma

Stefano Menna

Rilanciare lo sviluppo economico dei Paesi del Terzo Mondo mettendo la scienza e la tecnologia al centro delle scelte politiche. Lo dice l'ONU, attraverso un rapporto messo a punto dalla task force su scienza, tecnologia e innovazione istituita dal progetto "Millennium". Il progetto è nato nel 2000 con l'obiettivo di realizzare nel giro di una quindicina d'anni una serie di obiettivi strategici di portata globale, come la riduzione di povertà, fame, malattie, analfabetismo, razzismo, discriminazione delle donne e degrado ambientale.
Il documento finale, messo a punto dopo più di tre anni di lavoro da un gruppo di 27 esperti di fama internazionale, chiede esplicitamente alle Nazioni Unite di porre un freno al monopolio degli economisti all'interno dei comitati governativi che programmano e indirizzano le politiche di sviluppo. La consulenza finanziaria sarà sempre uno dei motori fondamentali delle scelte di qualsiasi Paese, ma, in un'economia basata sulla conoscenza come quella di oggi, i leader politici hanno bisogno di un aiuto e di un supporto di natura scientifica, per utilizzare quelle risorse che le nuove tecnologie ogni giorno rendono disponibili. "La scienza e la tecnologia hanno un peso decisivo nel miglioramento delle condizioni dei Paesi più poveri: in un mondo contraddistinto dall'innovazione e dalle nuove opportunità offerte dalle bio e nanotecnologie, i consulenti scientifici dovrebbero affiancarsi agli economisti, entrando a far parte a tutti gli effetti dei comitati esecutivi di governo", spiega Calestous Juma dell'Università di Harvard, uno degli autori del rapporto.
Gli esperti puntano il dito contro l'idea che si tratti di un'utopia irrealizzabile. In realtà qualcosa si è già fatto: sono molti gli esempi che dimostrano come scienza e innovazione abbiano consentito una crescita economica più veloce e solida in Paesi che fino a qualche anno fa erano considerati sottosviluppati. È il caso di alcuni Stati del Sud-est asiatico, come ad esempio Taiwan o la Malesia che, puntando su ricerca di base e information technology, hanno rafforzato e diversificato la propria economia, divenendo i massimi esportatori di prodotti e servizi elettronici. Anche in Africa non mancano sporadici ma significativi esempi di come la scienza possa costituire il fulcro delle politiche economiche di realtà di per sé poverissime. Nel 2001 il governo del Ruanda - paese dilaniato da anni di guerra civile - ha finalmente deciso di convertire un complesso di caserme militari in un campus universitario, il Kigali Institute of Science, Technology e Management. Un istituto accademico che, grazie anche alla cooperazione internazionale, dal 2002 sforna giovani laureati in informatica e ingegneria.
Certo, moltissimo deve essere ancora fatto perché si riduca drasticamente il gap scientifico e tecnologico che divide il Nord e il Sud del mondo. Realisticamente, sarà piuttosto difficile da rispettare la scadenza del 2015 che le Nazioni Unite si erano date cinque anni fa. Basti pensare soltanto alle disastrose conseguenze del maremoto che lo scorso 26 dicembre ha devastato le coste di Indonesia, Thailandia, India e Sri Lanka: l'ultimo e più drammatico caso di uno squilibrio difficile da sanare. Uno squilibrio che si è tradotto nell'incapacità sia di prevenire che di far fronte all'emergenza, anche per mancanza di conoscenze scientifiche e competenze tecniche. A sottolinearlo è l'editoriale dell'ultimo numero della rivista scientifica Nature, in riferimento alle polemiche sulla mancanza di un adeguato sistema di controllo e monitoraggio degli tsunami nell'area del Sud-est asiatico: "Paesi ricchi come Australia, Giappone e Stati Uniti sono dotati di un efficace sistema di allarme e di allerta alla popolazione contro il maremoto. Le nazioni che si affacciano sull'Oceano Indiano, invece, non hanno mai fatto investimenti su dispositivi del genere". Gli scienziati potrebbero giocare un ruolo chiave in questo contesto, incidendo sulle decisioni politiche e puntando su quei programmi che rispecchiano le necessità e i bisogni globali: se sapere è davvero potere, allora la scienza e la tecnologia saranno il volano della ricerca e dello sviluppo. Per tutti.


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