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Unità: Infanzia: molte parole, pochi fondi

C’è una drammatica incongruenza, nella vita politica italiana, fra le dichiarazioni di principio sui bambini e gli atti che concretamente si compiono a favore dell’infanzia

16/12/2007
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l'Unità

Luigi Cancrini

C’è una drammatica incongruenza, nella vita politica italiana, fra le dichiarazioni di principio sui bambini e gli atti che concretamente si compiono a favore dell’infanzia. Di tale incongruenza la legge finanziaria approvata ieri alla Camera dà una ulteriore malinconica dimostrazione.
Partiamo, per semplicità, dai fatti. Dalla Commissione bicamerale per l’Infanzia erano arrivati alle commissioni di merito della Camera delle proposte di emendamento largamente condivise dai rappresentanti della maggioranza e dell’opposizione. Dicevano questi emendamenti di accantonare le somme necessarie alla istituzione del Garante per l’Infanzia, in primo luogo, un impegno che l’Italia ha preso solennemente, senza mai rispettarlo, nel 1991 aderendo ad una Convenzione sui Diritti dei Fanciulli voluta dall’Onu ma soprattutto un impegno che ci avrebbe consentito di costruire una cornice di riferimento per tutte le attività in favore dei bambini maltrattati o abusati e per quelli di cui, più in generale, vengono negati i diritti. Ad aumentare, ancora, il finanziamento modestissimo del Fondo per l’Infanzia e l’Adolescenza, orientandone l’utilizzazione verso quelle parti del Paese in cui più forti sono l’evasione scolastica e la delinquenza minorile. A sostenere le spese delle famiglie che fanno adozioni all’estero, spese lievitate in questi anni al punto da essere sostenibili ormai solo per chi ha un livello medio alto di reddito e per prolungare fino a 5 mesi il congedo di maternità negli affidi: in una situazione, quella di oggi in cui prendere un minore in affido vuol dire assumersi pesi e responsabilità maggiori di quelle che si assumono mettendo al mondo o adottando un figlio. A fermare i tagli, voluti dal ministro Fioroni, fatti a spese dei bambini handicappati sugli insegnanti di sostegno. Un insieme di idee e iniziative di buon senso, dunque, che sono state per questo solo motivo discusse e votate all’unanimità dai deputati che si occupano dei problemi di questo tipo della commissione di merito. Ma che sono state del tutto ignorate successivamente nella bolgia dantesca della Commissione Bilancio prima e del maxi emendamento del governo poi. Sonoramente bocciate, dunque, da una maggioranza e da un Parlamento che d’infanzia in difficoltà si occupa solo nelle mozioni senza impegno di spesa.
Con una appendice paradossale, tuttavia. Nelle sede in cui si chiudevano gli ultimi conti della Finanziaria facendo contrattazione fra i partiti, quello che è accaduto infatti è che i soldi negati alle proposte che venivano dalle Commissioni di merito sono stati improvvisamente trovati per finanziare un emendamento mai discusso nelle sedi proprie (dove non sarebbe mai passato) che regala al «Telefono Azzurro» una cifra assai ingente. Senza spiegare perché si è deciso di darli a quel soggetto e non a un altro. Senza proporre gare, dunque, e utilizzando nel testo in cui il governo ha poi posto la fiducia la formula generica di un «sostegno» ad attività, già assai ben pagate dall’amministrazione centrale e da alcune amministrazioni locali. Senza chiedere al soggetto che si è deciso di finanziare una attività ben definita, insomma, senza vincolarlo al rispetto di una convenzione o di un programma. Ignorando l’esigenza fondamentale di una sana gestione della cosa pubblica: la trasparenza delle procedure e la chiarezza degli obiettivi per cui si concede un finanziamento.
Ce n’è abbastanza, mi pare, per uscire demoralizzati da un’Aula in cui si sono spese tante energie per portare avanti un discorso in cui si crede, senza mettere in dubbio, ovviamente, il fatto che sulla strategia complessiva di questa legge Finanziaria si è d’accordo, riconoscendo che il governo e la maggioranza che lo sostiene hanno fatto comunque un buon lavoro su tanti altri temi importanti: raggiungendo risultati innegabili soprattutto sul risanamento dell’economia e su una redistribuzione, timida ma significativa del reddito. Ma chiedendosi anche, con forza, il perché di errori così vistosi che sono stati commessi in questo e purtroppo in altri settori.
Il vero problema, cerco di dirlo con il massimo della serenità, è quello eterno della correttezza delle procedure e della valorizzazione delle competenze. Le trattative fra i partiti diventano necessarie o possibili (a seconda dei punti di vista), questa è la mia esperienza, quando quella a cui si mette uno stop è la discussione di merito tra le persone che hanno competenza su un certo problema. È sempre lì che alla forza degli argomenti si sostituisce quella degli schieramenti: una sostituzione di cui questo Paese non ha davvero più alcun bisogno.


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