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Unità-Il cuore in pace

ministro Lunardi, come molti che frequentano Berlusconi, ha usato una frase infelice, con i sindaci, i rappresentanti delle comunità, e gente della Valle di Susa. Ha detto: "Devono mettersi il cuore ...

07/12/2005
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l'Unità

ministro Lunardi, come molti che frequentano Berlusconi, ha usato una frase infelice, con i sindaci, i rappresentanti delle comunità, e gente della Valle di Susa. Ha detto: "Devono mettersi il cuore in pace". Vuol dire che le decisioni si prendono altrove e i cittadini, anche se sono decine di migliaia e rappresentano intere vallate, non devono permettersi di mettere bocca.
La frase viene dalla stessa ditta nota per avere ammonito chi vuole investire in Sicilia che "bisogna imparare a vivere con la mafia". Non si tratta di gaffe. Si tratta di stare più vicini o più lontani dalla democrazia.
La democrazia prevede che di tanto in tanto, fuori dai centri decisionali, su alcune questioni che appaiono gravi, i cittadini si agitino, scendano in campo e chiedano di essere ascoltati. Non significa che abbiano ragione. Ma guai a decidere che il loro torto deriva dal fatto che essi, i cittadini, non sono l'autorità, e dunque non possono interferire in decisioni già prese da chi ne aveva il potere. Perché il potere democratico rimane sempre dalla parte dei cittadini. Questo non vuol dire assemblea permanente e indecisione infinita. Vuol dire che c'è una regola inviolabile nella vita democratica: quando i cittadini intendono di essere ascoltati e lo chiedono non puoi rimandarli a casa dicendo "toglietevi di mezzo e lasciateci lavorare". Non puoi perché l'autorità per decidere deriva anche da quei cittadini.
Tutte le democrazie vere e prive di venature autoritarie conoscono momenti e conflitti di volontà, scontri di interessi e di intenzioni, come quello che sta avvenendo nella Valle di Susa. Si salvano e si rafforzano le democrazie che sanno affrontare il problema confrontandosi apertamente, liberamente, attraverso l'unico strumento tipico della libertà rispettosa, il dialogo.
È più faticoso ma infinitamente meno infelice delle imposizioni autoritarie. E' carico di ragioni e privo di sangue. Soprattutto non semina quel tipo tremendo di rancore che è l'impossibilità di esprimere la propria ragione.
Ricordate "Erin Brochovich" l'indomita, Julia Roberts del film americano che, di fronte alla contaminazione di mercurio nell'acqua del suo quartiere, il cuore in pace non se lo mette, nonostante il cumulo di interessi privati e di autorità pubblica che le sta contro, e vince la sua battaglia perché - in un contesto di vita democratica - è impossibile non ascoltarla? La vittoria non consiste nella proclamazione che chi si rivolta ha ragione. La vittoria consiste nel sapere che è necessario, indispensabile, inevitabile, nella vita di una democrazia, ascoltare chi si oppone, specialmente quando è tutta una intera cittadinanza. E' nel considerare alla pari e a fondo tutte le ragioni. E' tempo di smettere di ammirare "la grande lezione di democrazia" che tutti, anche da destra, sono disposti a riconoscere agli americani (persino agli americani che non fanno la guerra) e poi decidere che - da noi, in Italia - l'unica via d'uscita è di dire che decide chi deve decidere. E chi protesta va sloggiato con la forza, con la violenza, con ruspe e bastonate.
***
C'è un equivoco che va subito tolto di mezzo. L'equivoco è che "decide la maggioranza" e tutto il resto è perder tempo, e che ogni esitazione fa perdere la faccia al governo. Come tutte le medicine, le decisioni della maggioranza hanno serie controindicazioni quando un numero rilevante di cittadini - specialmente quando sono parte di comunità guidate in modo istituzionale e riconosciuto dalla legge (i sindaci) - hanno ragioni diverse e in conflitto da esprimere.
Evitare di coinvolgere gli interessati è come evitare "il dovuto processo" (traduco l'espressione del diritto americano). Intendo dire: ci sono molti casi nella vita in cui appare evidente la colpa o l'innocenza di qualcuno. Ma finché esiste una parte offesa e un diritto anche solo in apparenza negato, la legge democratica impone che si celebri il processo, ovvero che "siano sentite le parti".
Come si fa a sospendere questo sacro principio solo perché le parti sono - invece che cittadini che fanno causa - intere comunità che si mobilitano a causa di un allarme diffuso e condiviso?
Quanto grave sia questo equivoco si capisce con la seguente domanda: viene prima l'alta velocità o la democrazia? Conta di più il perseguimento di un legittimo e importante progetto tecnico o il rapporto fra chi governa (Stato, Regione, Città) e le persone che non vogliono, non capiscono, non accettano, e si organizzano intorno alle loro autorità, nel loro territorio, per esprimere le loro ragioni?
La bontà o anche la necessità di un progetto non ha nulla a che fare con l'aggressione violentissima subita la notte fra lunedì e martedì da cittadini accampati per presidiare un cantiere, e garantirsi la possibilità di essere ascoltati prima di azionare le ruspe.
Ciò che è accaduto dimostra un distacco fra autorità, responsabilità e democrazia. E' vero che viviamo sotto la coperta claustrofobica di un modo di governare che ignora i cittadini e anzi li teme (vi ricordate che hanno elencato gli studenti che manifestavano contro la cosiddetta riforma Moratti tra i pericoli che incombono, insieme con kamikaze e terrorismo interno, sul Paese?). Ma stiamo parlando di una azione infelice e sbagliata ordinata dal ministro Pisanu a cui, in molti, prima di questo maledetto vento pre-elettorale che sembra confondere biblicamente le menti, abbiamo sempre riconosciuto equilibrio e responsabilità.
La prima mossa sbagliata è stata di suggerire all'opinione pubblica del Paese che probabilmente c'erano infiltrazioni di rivolta armata fra i sindaci e i leader delle comunità montane, fra operai e studenti, fra mamme e ragazzini coinvolti nelle dimostrazioni. Sappiamo che in tempi come questi tutto è possibile. Ma proprio per questo è necessario quel senso di responsabilità che induce a dire o non dire, a seconda delle cose che si sanno per certe. La seconda è stata la violentissima aggressione notturna a valligiani che dormono, spingendo ancora una volta le forze dell'ordine a comportarsi come a Genova.
Pisanu non è Lunardi e sa certamente che i cittadini aggrediti non si mettono il cuore in pace, e che la paura (nella notte deve esser stato il terrore) non è parte della vita democratica. Pisanu non è Scajola, e gli abbiamo dato atto molte volte di questa differenza piuttosto grande, se ripensiamo a Genova. Pisanu non è Fini che, nei giorni del G8, se ne è stato rinchiuso nel punto di decisione strategica delle attività svolte a Genova, e di cui ha dovuto drammaticamente occuparsi la magistratura penale. Perciò ha il dovere urgente di spiegare che cosa è successo, perché, in base a quali motivazioni, ragioni, sospetti. Fare in modo che le ruspe comincino in tempo il lavoro vale il pestaggio selvaggio delle persone mentre dormono, in piena notte?
Possibile che nessuno, da adulto responsabile, abbia previsto che da quel momento la protesta si sarebbe moltiplicata per dieci?
Ora sembra inevitabile che tocchi alla presidente della Regione Bresso la responsabilità di governo - dopo che il governo nazionale ha fatto un salto di corsia ed è andato contromano, ignorando la norma di ragionevolezza, obbligatoria in democrazia, per riportare il traffico convulso di opinioni contrapposte dallo scontro al dialogo. E' una prova dura ma necessaria. Vale la pena di ricordare che mai, in nessun Paese libero retto da leggi democratiche, una ferrovia, per quanto giudicata indispensabile dagli esperti, è passata d'autorità sopra i cittadini. Su questo punto è Lunardi che deve mettersi il cuore in pace.
furiocolombo@unita.it*


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